(2003)

Inferno - fino a diciassette

con Antonia Bertagnon, Luca Brinchi, Marco Cantori, Franco Cecchetto, Salvo Lo Presti, Elena Manfredi, Veronica Mulotti, Fiorella Tommasini, Roberta Zanardo, Isadora Angelini, Luca Serrani, Francesca Cola
consulenza alla scelta dei testi poetici Marco Munaro                 
tecnico luci Carlo Sarti
drammaturgia musica e regia Massimo Munaro

prima rappresentazione: Volterra, Teatro Persio Flacco, 21   luglio 2003

 dal foglio di sala - novembre 2003

A ROBERTO DOMENEGHETTI

beatrice2-1Il lavoro si configura come movimento parziale di un progetto che prevede la completa riscrittura scenica di tutti i trentaquattro Canti dell'Inferno di Dante Alighieri. Parliamo di riscrittura perché il tentativo è propriamente quello di ripensare l'architettura dantesca ricollocandola dentro il nostro tempo.

Se da un punto di vista psichico l'Inferno, così come è per il teatro, suggerisce infatti uno sprofondamento dell'anima nel regno dei morti, del sogno e dell'inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente.

Per noi l'Inferno si costituisce come un regno psicologico di adesso (senza-tempo-eternamente-adesso), non come un regno escatologico di poi. Non è un remoto luogo di giudizio sulle nostre azioni, ma costituisce il luogo per giudicare ora le nostre azioni entro una riflessione interiore.

L'architettura Dantesca con i suoi 34 Canti ed i suoi infiniti episodi viene così ad essere il modello strutturale di un'Opera che deve essere pensata come una libera e personale reinvenzione.

Immaginare di entrare da vivi nel regno di Ade, come pure fece Dante, significa necessariamente per noi spettatori trovarsi costretti a un faccia a faccia con i demoni, trovarsi dentro questo spazio e provare ad attraversarlo. Ma l'Inferno non è lo spazio diurno che ci è possibile attraversare a tappe, di stanza in stanza o di grado in grado, quanto piuttosto esso si manifesta come spazio eminentemente metamorfico. In altre parole, rispetto alla concezione Tolemaica-Dantesca, siamo, ovviamente, oggi più inclini a immaginare l'universo come pluriverso in costante movimento e trasformazione.

Di stanza in stanza, di grado in grado, è il medesimo spazio a trasformarsi davanti a noi e a costringerci a continue diverse visioni, a nuovi attraversamenti.

Per quanto sia possibile farne esperienza, lo spazio infero non prevede – com'è ovvio - la possibilità di essere abitato da viventi.

Così per noi spettatori non c'è un luogo dove stare, non c'è una collocazione precisa. Noi siamo solo qui, fortunatamente, come degli estranei di passaggio.

Eppure ci troviamo ad essere testimoni partecipi, come Dante, di uno sprofondamento demonico che ciascuno vive proiettato fuori di sé, negli attori-dannati, ma che in realtà mima, come per Dante, l'infinita costellazione della propria anima individuale e collettiva. Il movimento Dantesco suggerisce che solo inabissandosi è possibile salire nell'alto, solo cadendo ci si potrà alzare: solo la ferita Risana. La discesa agli Inferi è infatti viaggio verso la luce.

Dopo più di un anno di lavoro presentiamo qui per la prima volta riunite, in unico sviluppo drammaturgico e sequenziale, le prime due parti di un progetto che resta ancora però di fatto a metà del guado.

Rispetto al lavoro condotto con la Tetralogia si tratta per noi di riformulare un coinvolgimento, che lì era pensato per il singolo spettatore partecipante, mentre qui è rivolto al corpo di una – se pur ristretta – collettività. All'Inferno si entra soli ma si dovrà uscire – com'era nelle intenzioni di Dante - comunità.

La scommessa per noi ora è quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo.

Lemming

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