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Enrico Pastore scrive sul suo blog a proposito di Amleto, andato in scena a Torino il 9 e il 10 febbraio 2018 alle Officine Caos.

"Chi è Amleto? Il principe di Danimarca diserta le scene e diviene platea, diviene moltitudine muta che osserva la scena. Impotente, silenzioso, privo per una volta di battute, questo Amleto del Teatro del Lemming diviene corpo politico.

Chi osserva, chi guarda non fa. Questo è l’assunto. E tutto questo si innesta in un gioco di specchi che rimanda dalla scena alla platea. La donna che regge lo specchio e sputa sull’immagine ivi riflessa, guarda verso di noi, ormai condannati a essere Amleto per decisione altrui, impossibilitati a ribellarci dalla posizione passiva che come pubblico abbiamo adottato, massa silenziosa che resta nel buio.

Siamo Amleto perché come lui ci troviamo in una parte che non abbiamo scelto né voluto, scissi tra accettazione e rinuncia.

Molto si è scritto e si potrebbe scrivere su Massimo Munaro e il Teatro del Lemming, ma una cosa è certa: è un teatro che non lascia mai indifferenti, che porta sempre a prendere una posizione. In questo capitolo della trilogia shakespeariana, diveniamo protagonisti senza nulla poter fare, nemmeno baloccarci con il dubbio di essere o non essere.

É la scena che ci dona sostanza, è l’agire di quelle immagini evanescenti, di luce caravaggesca, in perenne fluttuazione di registro, che ci permette di assumere un ruolo che altrimenti non terremmo ad assumere. Ma il Teatro del Lemming ci pone nello stesso tempo in un paradosso: siamo una parte, un personaggio, che non può parlare perché non ha la battuta, e non può agire perché non ha didascalia. Come un re degli scacchi i nostri movimenti sono limitati, e il gioco è svolto solo dagli altri pezzi.

E come il re degli scacchi siamo in perenne assedio, le immagini ci incalzano con un ritmo ossessivo prima, dilatato poi, spingendoci sempre più in una dimensione onirica che non può terminare che in un silenzio assordante. Siamo esistenze sospese tra l’alzata e la calata di un sipario, e poi è tutto buia notte e silenzio.

Come nella tragedia per il Principe di Danimarca il teatro diviene strumento di presa di coscienza del delitto, nel farsi doppio della realtà, così in questo caso si diviene coscienti della propria miserevole impotenza perché il teatro conferisce forma a una realtà che non vogliamo vedere. Continuamente provocati ad agire, a dire la nostra, a far parte della scena restiamo muti, nel buio, senza nulla fare perché non sappiamo cosa fare né quando né quali sono le regole e anziché inventarcene una, o agire senza il bisogno che ci siano, preferiamo restare zitti e fermi.

E allora chi è lo spettro del padre? E la madre prostituita? E Ofelia abbandonata e nell’acqua annegata? Tocca trovar nella nostra vita risposta ai quesiti che pone Massimo Munaro e il Teatro del Lemming. E tocca trovarla una risposta perché nella vita di ogni giorno ci proviene sempre più l’urgente e imperioso stimolo ad agire, a prendere posizione e sempre più distogliamo lo sguardo da quanto accade. Forse è ora di cominciare ad agire."

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Thursday, 11 April 2019 11:40

Contact

Contact

Teatro del Lemming is haused at Teatro Studio in Viale Oroboni, 14 - Rovigo (IT).

 

Tel. +39 0425 070643
Fax +39 0425 070477

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Artistic direction
Massimo Munaro - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Project Management
Chiara Elisa Rossini - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Diana Ferrantini - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Press office
Marina Carluccio - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Administration
Katia Raguso - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Technical assistance
Alessio Papa - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

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Enrico Pastore scrive sul suo blog a proposito di Amleto, andato in scena a Torino il 9 e il 10 febbraio 2018 alle Officine Caos.

"Chi è Amleto? Il principe di Danimarca diserta le scene e diviene platea, diviene moltitudine muta che osserva la scena. Impotente, silenzioso, privo per una volta di battute, questo Amleto del Teatro del Lemming diviene corpo politico.

Chi osserva, chi guarda non fa. Questo è l’assunto. E tutto questo si innesta in un gioco di specchi che rimanda dalla scena alla platea. La donna che regge lo specchio e sputa sull’immagine ivi riflessa, guarda verso di noi, ormai condannati a essere Amleto per decisione altrui, impossibilitati a ribellarci dalla posizione passiva che come pubblico abbiamo adottato, massa silenziosa che resta nel buio.

Siamo Amleto perché come lui ci troviamo in una parte che non abbiamo scelto né voluto, scissi tra accettazione e rinuncia.

Molto si è scritto e si potrebbe scrivere su Massimo Munaro e il Teatro del Lemming, ma una cosa è certa: è un teatro che non lascia mai indifferenti, che porta sempre a prendere una posizione. In questo capitolo della trilogia shakespeariana, diveniamo protagonisti senza nulla poter fare, nemmeno baloccarci con il dubbio di essere o non essere.

É la scena che ci dona sostanza, è l’agire di quelle immagini evanescenti, di luce caravaggesca, in perenne fluttuazione di registro, che ci permette di assumere un ruolo che altrimenti non terremmo ad assumere. Ma il Teatro del Lemming ci pone nello stesso tempo in un paradosso: siamo una parte, un personaggio, che non può parlare perché non ha la battuta, e non può agire perché non ha didascalia. Come un re degli scacchi i nostri movimenti sono limitati, e il gioco è svolto solo dagli altri pezzi.

E come il re degli scacchi siamo in perenne assedio, le immagini ci incalzano con un ritmo ossessivo prima, dilatato poi, spingendoci sempre più in una dimensione onirica che non può terminare che in un silenzio assordante. Siamo esistenze sospese tra l’alzata e la calata di un sipario, e poi è tutto buia notte e silenzio.

Come nella tragedia per il Principe di Danimarca il teatro diviene strumento di presa di coscienza del delitto, nel farsi doppio della realtà, così in questo caso si diviene coscienti della propria miserevole impotenza perché il teatro conferisce forma a una realtà che non vogliamo vedere. Continuamente provocati ad agire, a dire la nostra, a far parte della scena restiamo muti, nel buio, senza nulla fare perché non sappiamo cosa fare né quando né quali sono le regole e anziché inventarcene una, o agire senza il bisogno che ci siano, preferiamo restare zitti e fermi.

E allora chi è lo spettro del padre? E la madre prostituita? E Ofelia abbandonata e nell’acqua annegata? Tocca trovar nella nostra vita risposta ai quesiti che pone Massimo Munaro e il Teatro del Lemming. E tocca trovarla una risposta perché nella vita di ogni giorno ci proviene sempre più l’urgente e imperioso stimolo ad agire, a prendere posizione e sempre più distogliamo lo sguardo da quanto accade. Forse è ora di cominciare ad agire."

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Monday, 12 September 2016 11:53

teatr a part - ophelia

16 DIC. 2016, ORE 20.45 / AB23
(spettacolo fuori abbonamento)

TEATR A PART (POLONIA)
OPHELIA
con Monika Wachow
regia Marcin Herich

In questo preziosissimo lavoro il personaggio shakespeariano diventa metafora della dualità del pensiero femminile che, ingenuo ed innocente, talvolta nulla può contro una realtà sempre più folle. Lo spettacolo prevede l‘ingresso di max 50 spetattori.

TEATR A PART è uno dei più importanti gruppi della nuova scena teatrale polacca. Gli spettacoli del gruppo indagano, attraverso un linguaggio visuale e non verbale, l‘istintualità umana, l‘inconscio, le emozioni e i segreti dell‘esistenza. Ophelia è una sorta di manifesto del loro teatro.

La conversazione con gli artisti a fi ne spettacolo è a cura di Roberto Cuppone. Regista e storico del teatro, insegna al Dipartimento di italianistica, arti e spettacolo DIRAAS dell‘Università di Genova.


PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA / 327 3952110

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Wednesday, 27 January 2016 11:49

febbraio - aprile / 2016

TEATRO STUDIO - ROVIGO
febbraio/aprile 2016

PER INFO E PRENOTAZIONI:
TEATRO STUDIO, Viale Oroboni, 14 - Rovigo
0425 070643 / This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Scarica il programma

 

Domenica 14 febbraio, ore 21.00
TEATRO DEL LEMMING

PRESENTAZIONE DELLA STAGIONE
e STUDIO FINALE del Corso di Formazione per Attori

sabato 20 febbraio, ore 21.00
CARICHI SOSPESI

MENDING SONG

venerdì 26 febbraio, ore 21.00
FARMACIA ZOO:E'

9841/RUKELI

brindisi con i poeti
Sabato 27 febbraio, ore 18.00
VITO M. BONITO
SOFFIATI VIA

venerdì 4 marzo, ore 21.00
COMPAGNIA DEGLI SCARTI

L'ULTIMO KALIGOLA

giovedì 10 marzo, ore 21.00
PATRIZIA LAQUIDARA
CONCERTO

brindisi con i poeti
d
omenica 6 marzo, ore 18.00
MARCO MOLINARI
CITTA' A CUI DONASTI IL RESPIRO

sabato 19 marzo, ore 21.00
ROBERTO LATINI/FORTEBRACCIO TEATRO

METAMORFOSI Scatola nera

brindisi con i poeti
Domenica 20 marzo, ore 18.00

MARCO MUNARO
BERENICE

venerdì 24 marzo, ore 21.00
TEATRO DEL LEMMING

MUSICHE DEL TEMPO - rimandato a data da destinarsi

giovedì 14 aprile, ore 21.00
TEATRO SOTTERRANEO

HOMO RIDENS_ROVIGO

Published in Ospitalità
Tuesday, 23 December 2014 12:48

L'Edipo dei Mille

L'Edipo dei mille
progetto pedagogico spettacolare

 

Una delle grandi questioni in cui si dibatte da sempre un uomo di teatro potrebbe essere riassunta con una domanda: com’è possibile tramandare un’esperienza?
A differenza di coloro che operano in altri campi dell’arte e di cui sopravvivono le opere, il teatro appare come un’arte che si scrive sull’acqua, consegnata com’è, inevitabilmente, all’impermanenza del presente. Di Sofocle, Shakespeare, Moliere, che furono anche grandi poeti, ci rimangono in fondo soltanto delle parole, perché in realtà nulla ci rimane del loro teatro. Anche se in tempi di restaurazione come questi sembrerà un’affermazione eretica, la drammaturgia non consiste in un testo scritto, ma si realizza piuttosto in quel sottile alchemico equilibrio fra le diverse componenti dell’arte scenica e di cui le parole – queste maledette e morte parole – non sono che un elemento, spesso nemmeno quello predominante.
Un uomo di teatro è inevitabilmente consegnato al qui e ora dell’evento: la forma in cui consiste l’opera non può vivere se non nell’accadere irripetibile della scena. Possiamo vedere lo stesso film di Ingmar Bergman anche mille volte ed entrare così in contatto diretto e vivo – lui che è morto – con la sua opera. Ma della sua opera teatrale non rimane che una memoria leggendaria. Nata dal mito, ecco che l’opera teatrale sembra così riconsegnarsi, a sua volta, al mito.
Anche Artaud, Appia, Stanislavskij, Grotowski, Kantor ci hanno lasciato delle parole, ma il profumo delle loro realizzazioni teatrali si è perduto per sempre, o al massimo si è consegnato al ricordo, all’immaginazione e alle speculazioni dei loro successori. Com’è stata tramandata, o più spesso tradita, la loro straordinaria esperienza? Quali gesti, quali segni ci hanno lasciato in eredità? Dove rintracciare oggi, in un mondo teatrale sempre più museificato e mercificato, il senso di una continuità vitale, di un passaggio del testimone? Già perché eccolo qui il teatro: spaccato fra compagnie di prosa in gara nella riproposizione dell’uguale e del medesimo, popolato da comici televisivi (finalmente possiamo incontrare dal vivo! per una sera il divetto, il tronista, la velina), fra i mille narratori (teatro di narrazione – mai ossimero fu più assurdo!), e ai bordi – viva l’off per sempre off! – i giovani all’ultima anzi meglio ultimissima moda (cosa importa di cosa ne sarà di loro dopo, tanto fra un anno ci saranno i nuovi, anzi i nuovi nuovissimi del momento!).
Come si può parlare di eredità in una simile centrifuga, in questo campo culturale e sociale sempre più desertificato?
Molti anni fa un importante festival canadese, e poi anche un teatro svizzero, mi proposero, sull’onda del successo italiano, di realizzare EDIPO con un gruppo di attori del luogo, svincolando perciò la produzione dell’opera dal diretto coinvolgimento del Lemming. Io rifiutai. Mi sembrava sbagliato realizzare un’opera così delicata con un gruppo di attori che non sposassero a monte il pensiero teatrale che il lavoro implicava. Giudicavo impossibile preparare un gruppo di attori nel breve tempo che, inevitabilmente, i due grandi produttori, potevano offrirmi. Nulla di più terrificante, come spesso capita, di vedere attori del tutto impreparati ad affrontare la scena, non realmente consapevoli e presenti a quello che fanno. Questo è un orrore, qualunque cosa si sia detta o scritta sul mio lavoro, che so di avere sempre cercato di evitare.
Oggi sento, però, la necessità di accettare una scommessa impossibile: preparare in tre settimane di lavoro, trenta giovani attori e realizzare con loro, guidati da attori del Lemming, l’EDIPO contemporaneamente e per molti giorni in cinque diversi luoghi di una stessa città. La prima tappa di questo progetto si svolgerà a Venezia fra febbraio e maggio 2011. Il progetto si chiama, non a caso, L’EDIPO DEI MILLE e risponde ad una doppia esigenza. Da una parte sento il bisogno di verificare se sia davvero possibile, in qualche modo, trasmettere a degli allievi, futuri attori forse, l’esperienza di EDIPO. Dopo che lo spettacolo in tutti questi anni è sempre rimasto nel repertorio della compagnia come straordinaria palestra di formazione per la crescita professionale e umana degli attori del gruppo, oggi sento venuto il momento di lasciare che quest’opera viva anche di una vita autonoma. Mi affascina soprattutto la possibilità di realizzare una pedagogia in grado di trascinare nel rischio della prassi un nutrito gruppo di allievi. Come si può, del resto, divenire attori se non mettendosi alla prova? Tanto più che qui non si affronta l’improbabile saggetto di fine corso, ma una drammaturgia compiuta ed esemplare. E’ un’impresa troppo arrischiata? Può darsi. Resta però che il primo insegnamento per un attore è quello di imparare ad esporsi al rischio.
Esiste poi un’altra ragione che sta alla base del progetto e che mi appare oggi ancora più cogente: quella politica. Si sa che la storia della spedizione dei Mille, a cui il titolo del progetto allude, si confonde col mito e la leggenda. Appare in effetti incredibile che un gruppo sparuto di ragazzi giovanissimi, volontari e male armati, abbia potuto sbaragliare un agguerrito esercito borbonico e contribuire in modo decisivo alla nascita del nostro Paese. Quello che ancora di potentemente simbolico riverbera in noi di questa storia esemplare, è l’insegnamento che a volte anche l’azione di pochi uomini è in grado di produrre grandi trasformazioni. Per noi si tratta, una volta di più, di dimostrare che è possibile trasformare ciò che è apparentemente utopico in un atto concreto. Che si può, anche a dispetto di un sistema teatrale più che mai immobile e reazionario, affermare una differenza che non è soltanto ideale ma concreta e praticata. Nulla, in effetti, è più apparentemente utopico e paradossale, anche da un punto di vista produttivo, di un lavoro come EDIPO. Un solo spettatore laddove nella società dei consumi la comunicazione spettacolare si rivolge esclusivamente ad una massa indifferenziata. La richiesta di una partecipazione attiva e personale, là dove tutto è sempre comunque mediato, e ci mantiene rigorosamente passivi e distanti. E soprattutto l’esplosione sensoriale ed emotiva, quella profonda intimità fra estranei, quello strano senso di fratellanza, che questo lavoro induce in ciascun partecipante, a dispetto del solitario vouyerismo impotente a cui si è quotidianamente consegnati. In questa Italia divisa e devastata, ridotta a macerie, narcotizzata e ferita dal chiacchiericcio e dallo strepito televisivo, anche questo piccolo spettacolo per un solo spettatore, e che per altro finirà per propagarsi nell’intero spazio urbano di una città, può contribuire in modo attivo a qualche piccola ma reale trasformazione.
Certo, come direbbero i Greci, la nostra libertà soccomberà sempre alla supremazia dell’Ananke. Ma d’altronde, misurare sul proprio corpo il dissidio profondo fra libertà e destino, quel dissidio e quel senso di rivolta che in altro modo accomuna Edipo al giovane garibaldino della spedizione dei Mille, è ciò che rende eroica la condizione umana di ciascuno di noi.

Massimo Munaro, Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore, Corazzano (PI), Titivillus, 2011

 

 

L'EDIPO dei MILLE  è approdato nel 2011 a VENEZIA , nel 2012 a BASSANO DEL GRAPPA e nel 2015 a VICENZA.

Visita il blog che raccoglie le lettere degli spettatori e la rassegna stampa.

 

Published in Pedagogia
Tuesday, 23 December 2014 11:04

Nel segno di Dioniso

Nel segno di Dioniso
progetto pedagogico spettacolare

 

In continuità con L'EDIPO DEI MILLE, NEL SEGNO DI DIONISO è insieme una straordinaria occasione pedagogica e uno straordinario evento artistico, che porta dei giovani allievi a realizzare lo spettacolo del Teatro del Lemming DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro per 10 giorni consecutivi. 
DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro è uno degli spettacoli-manifesto del Teatro del Lemming, seconda tappa della Tetralogia sul Mito e lo Spettatore, in cui gli spettatori vengono coinvolti drammaturgicamente e sensorialmente all'interno dell'evento scenico. Si tratta di un lavoro per sette spettatori per volta che ri-vivono sul loro corpo le tappe della relazione tragica, riportata nelle BACCANTI da Euripide, che lega Dioniso, per i Greci il dio del teatro, a Penteo, prototipo dello spettatore moderno.
Il teatro, sotto il segno di Dioniso, si configurava essenzialmente come una relazione fondata sulla reciprocità (“io ti vedo mentre tu mi vedi”), come rito collettivo il cui telos era quello di giungere ad una comunione-dispersione delle soggettività, a favore di una osmosi col divino, col tutto. 
Questa relazione si dà invece come impossibilità ne “Le Baccanti” di Euripide. La relazione, infatti, è qui oppositiva, lo sguardo si fa distaccato, voyeuristico e ciò rende impossibile ogni reciprocità, ogni tensione ad una reale unione. Le tensioni si polarizzano senza dar luogo a nessuna congiunzione. Agave e Penteo sono madre e figlio. Accomunati dalla stessa hybris che infondo consiste nel non riconoscimento del proprio lato numinoso (Dioniso era un loro stretto consanguineo). 
Fra l’isteria della menade Agave che giunge a non riconoscere il figlio e a sbranarlo, e il presunto bisogno di ordine razionale di Penteo che giunge a desiderare di vedere senza essere visto (prototipo dello spettatore moderno) quelle che per lui sono solo agognate sconcezze erotiche, c’è una uguaglianza di segni: entrambi sono strumenti inconsapevoli della vendetta del dio. DIONISO e PENTEO non può essere così uno spettacolo compiutamente e felicemente dionisiaco, perché qui esso potrà manifestarsi soltanto come vendetta. Vendetta contro attori e spettatori, polarizzati in uno statuto che, per quanto potrà apparire abolito, verrà riaffermato proprio mentre sembrerà capovolgersi. 
La distorsione relazionale - che qui porta al suo dissolvimento completo - nasce dal rifiuto di riconoscere l’altro in noi, dal rifiuto e dalla negazione dei nostri istinti e desideri profondi che tornano a sbranarci non appena rifiutiamo di riconoscerli come tali.

 

NEL SEGNO DI DIONISO ha invaso Venezia e Mestre durante aprile e maggio 2014.

 

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Tuesday, 23 December 2014 10:29

Staff

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Direzione artistica
Massimo Munaro - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Organizzazione e ufficio stampa
Diana Ferrantini - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Comunicazione e grafica
Marina Carluccio - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Amministrazione
Katia Raguso - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Progetti culturali e Assistenza tecnica
Alessio Papa - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Personale artistico
Marina Carluccio, Diana Ferrantini, Alessio Papa, Thierry Parmentier, Katia Raguso, Chiara Elisa Rossini, Fiorella Tommasini, Boris Ventura, Silvia Massicci, Elena Fioretti.

per informazioni scrivi a  This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

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