IL TEATRO DELLO SPETTATORE
Può sembrare quasi una tautologia.
Perché il teatro è, o almeno dovrebbe essere, sempre “teatro dello spettatore”. Qualunque sia la sua forma, comunque si sia declinata nel corso del tempo, il teatro inscrive sempre lo spettatore all’interno del suo gioco.
Il teatro, ci insegnava Grotowski, è ciò che accade fra almeno un attore e uno spettatore. E ciò che accade, il teatro, è allo stesso tempo forma ed evento.
Se la rappresentazione è di fatto forma organizzata in grado di essere sempre ripetuta, l’evento, al contrario, è una manifestazione che ci accade in modo imprevedibile e unico. Ci possono essere infinite rappresentazioni, mai due eventi uguali.
Lo scopo di un attore è sempre stato quello di cercare che lo spettatore viva l’azione teatrale (la rappresentazione) come un accadere per lui (l’evento).
Questo fa in modo che lo spettatore non si collochi più nella distanza dello sguardo ma piuttosto nella comunione del vero assistere. E assistere è qualcosa di più… “Assistere significa partecipare. Essere spettatore è dunque un modo autentico di partecipare.” (Gadamer)
CHIAMO PERO’ TEATRO DELLO SPETTATORE
Solo quel teatro che ripensa e rimette continuamente in discussione il ruolo dello spettatore, che ne mina la passività, rendendo attiva la sua partecipazione: fosse anche solo perché lo costringe ad una reazione. Affida allo spettatore un ruolo drammaturgico, per quanto esso possa essere sottaciuto o eterodiretto.
È quel teatro che osa mettere in gioco insieme a quella dell’attore anche la corporeità dello spettatore, nella pienezza di tutti i suoi sensi: non solo la vista e l’udito, ma anche il tatto, il gusto, l’olfatto. In un gioco di totale apertura all'evento, questo teatro riesce a non perdere mai la sua natura di forma estetica organizzata, ridefinisce la sua spazialità, e alla frontalità della scena sostituisce l’immersione totale: l’evento non sta più davanti ma anche dietro, sopra, sotto allo spettatore, è tutto ciò che accade intorno a lui.
Il teatro dello spettatore mentre confonde incessantemente i ruoi dell'attore e dello spettatore, riesce a salvarne e affermarne la differenza, mette al suo centro la realzione diretta attore/spettatore: una relazione sempre drammaturgicamente giustificata la cui posta in gioco è l’autenticità, questa autenticità è garantita solo in quanto essa passa attraverso una maschera finzionale (cioè immaginativa) senza MAI scadere in una banale relazione interpersonale o letterale.
Si tratta quindi solo di quel teatro che sa donare allo spettatore quacosa in più di una presenza quotidiana al mondo ma che riesca a trasportarlo in un altrovo extra-ordinario in cui è in gioco lo svelamento di una Verità suprema. Il teatro dello spettatore deve quindi produrre sullo spettatore, al suo ritorno alla vita quotidiana, anche solo una qualche piccola trasformazione.
CHIAMO TEATRO DELLO SPETTATORE
solo quel teatro
che obbedisca a ciascuna di queste condizioni.
Questo teatro esiste.
Ed è di questo teatro OGGI che noi abbiamo bisogno
Massimo Munaro/Teatro del Lemming
Rovigo, 2 gennaio 2010