METAMORFOSI – NEL LABIRINTO DELLA MEMORIA | Rovigo, Teatro Studio – dal 15 al 25 settembre 2022  

(…) Di primo acchito, ho percepito la strana sensazione di vedere la porta del teatro chiusa, con le tende rosse che impedivano di vedere dentro: curiosità e un velo di mistero. Dopo la "cerimonia della vestizione", guidata per mano da Munaro, ho sperimentato un buio pesto, totale, che non ricordo di aver mai visto: quel buio che separa, durante una sorta di catabasi, il mondo dei vivi, della massificazione, dello scorrere del tempo, da quella sorta di tempio, che è il teatro, in cui si è svolto il "rito d'iniziazione". Parlo di tempio anche nel senso etimologico del termine: dal greco /tèmno/, tagliare, indica uno spazio circoscritto, al di là del tempo - infatti non si potevano tenere orologi - e dello spazio - tanto che il buio del percorso iniziale mi ricordava appunto una catabasi, un abbandono del mondo conosciuto.
Mi porto nel cuore due elementi strettamente connessi: da un lato, il profumo del Lemming, dall'altro l'interazione fortissima con gli attori. Ne parlavo anche con Pietro, il ragazzo con cui sono venuta ieri: nonostante, una volta a casa, mi sia lavata le mani, le braccia e il viso, per tutta la sera continuavo a sentire su di me e su di lui il vostro profumo: non so dire che profumo sia, né mi interessa farlo, ma ogni volta che lo sentivo mi sembrava di ripiombare tra il legno del teatro, venivo attraversata da una sensazione di rilassamento e mi si figuravano nella mente dei fiori di color pesca-arancio. 
Per quanto concerne l'interazione, credo sia stato il primo spettacolo in cui ho sperimentato l'incontro, lo scambio, non solo di sguardi, ma anche di parole e di gesti con gli attori. Ci si sente attraversati da una magia, da un sangue vivo, che vuole pulsare nelle vene, che spinge, come una cascata, perché si segua il flusso. Sembra di vivere in un sogno, o in un mondo mitico, ancestrale, eppure così vicino, al di là di una porta di vetro dietro delle tende rosse.
"Abbiamo seppellito le nostre figlie".
"Ci hanno dimenticati".
"E tu mi vuoi bene?". 
(…) Con ciò, desidero solo ringraziarvi.  

Benedetta (lettera di risposta allo spettacolo - settembre 2022) 

 

Ho assistito alla rappresentazione dell'opera "Metamorfosi" in data 18 settembre alle 20:00.  
Arrivato a casa dopo aver assistito alla rappresentazione ho sentito la necessità di scrivere quello che ho provato durante l'opera ma che non sono riuscito a dire subito perché travolto da un turbine di emozioni e domande. 
Durante primi minuti dell'opera continuavo a chiedermi cosa stesse succedendo e a guardare l'azione da un punto di vista esterno, ciò è durato finché il primo attore mi ha guardato negli occhi, da quel momento in poi mi sono sentito immerso in una realtà diversa di cui però facevo totalmente parte. Ho sentito i sentimenti dei personaggi come se fossero i miei e perciò non potevo fare a meno di sorridere quando vedevo un sorriso, rattristirmi quando vedevo un pianto o angosciarmi quando vedevo agitazione. 
Il completo coinvolgimento è stato una costante di tutta l'opera ma l'immersione nel mio personale mondo interiore è iniziata quando abbiamo abbandonato la stanza principale, da lì in poi ho sentito ogni stanza come un passo mio personale, come se fossi stato solo con la mia coscienza, interpretata dagli attori. 
Durante il percorso il mio atteggiamento verso il contatto fisico con gli attori è mutato, se all'inizio ero titubante e avessi dubbi se fosse il caso o meno di toccare l'attore ci è voluto poco perché sentissi la necessità di avvicinarmi al personaggio stesso, che sentivo come una guida interiore.  

Alessandro (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Posso dire? È la cosa più figa che abbia mai visto negli ultimi 30 anni. Ma che dico visto? Abbia vissuto! Non mi aspettavo assolutamente una cosa del genere. È come se fossi stato catapultato in un mondo parallelo ed ogni istante l'ho vissuto con ogni cm di pelle del corpo ed ogni sinapsi della testa con un trasporto... inconscio. Cavalcando tutte le emozioni che la mente umana possa provare in un saliscendi come sulle montagne russe. (…) Mia figlia mi ha chiesto come era lo spettacolo...non sono stato capace di spiegarglielo. Le ho solo detto " per capire devi...viverlo".  

Dario (messaggio su Whatsup – settembre 2022) 

 

 Ho scritto un post su facebook che faceva così:
"Non siete mai andati a uno spettacolo teatrale dove siete solo UNO di cinque spettatori?
Che poi non siete nemmeno quell'UNO, perché appena arrivati vi si chiede di spogliarvi delle vostre cose: orologi, scarpe, gioielli, cravatte... se avete i capelli raccolti vi viene chiesto di scioglierli, perché da quel preciso momento in cui lasciate sul tavolino le vostre abitudini che diventano nel tempo le vostre sicurezze, la vostra identità esteriore, diventate altro, sarete trasformati.
Questo "altro" dipende da voi, dal vostro vissuto, dalla vostra realtà interiore e dalla maestria degli attori del Teatro del Lemming che attraverso la regia di Massimo Munaro, vi accompagnano nel "labirinto della memoria".
Alla fine, Massimo ci ha chiesto le nostre impressioni. Io avevo partecipato nel lontano 1995 (mi sembra) all'Edipo, spettacolo per un solo spettatore, una esperienza il cui ricordo ancora mi emoziona. Ritrovare ancora oggi, dopo tutti questi anni, la stessa autenticità, la stessa onestà nel rapporto con lo spettatore-partecipante è stato davvero magico. Le mie parole in risposta alla domanda sono state "tutto come prima" nel senso appunto che non mi sono sentita tradita, spero che si sia capito.
Un bellissimo re-incontro tra umani. GRAZIE
E poi dopo un giorno, ne ho scritto un altro: 
"Scusate se ci torno più volte su questo spettacolo a cui abbiamo assistito io e Gian Carlo... anzi no partecipato, come spettatori - attori. E' che è una emozione RP, a rilascio prolungato (perdonate ma sono farmacista) ovvero ti rilascia microgrammi di emozione a distanza di più giorni. Affiorano i ricordi, le immagini, ritornano in sogno e così da giorni."
Ecco qui quello che più o meno sento a distanza di alcuni giorni da una esperienza che ha questa capacità di riverberare dentro per giorni, settimane, mesi, anni? Perché io ho ancora il ricordo della prima emozione con l'Edipo quasi 30 anni fa! Ritrovare la stessa genuinità, la stessa coerenza e forza è stato bello e non era poi così scontato, anzi. Non avete tradito il vostro pubblico, la vostra poetica.
Ho pensato a un haiku in questi giorni:
"assieme ad altri
soli
nel labirinto" 

Barbara (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Mito, memoria, labirinti, incontri... realtà invisibili...
Descrivere e/o dare un nome a questa immersione nel mito, dentro se stessi, dentro l'altro da sé con cui si interagisce durante la partecipazione a "Metamorfosi il labirinto della memoria" messa in atto dal Teatro del Lemming di Rovigo, per me è impossibile.
Non lo posso definire dramma, né tragedia, né commedia, né satira, né... né... e allora cosa ho vissuto... io non ho un nome da dare a questa rappresentazione in cui, come negli autos sacramentales del basso medioevo, quasi scompare la distanza tra attore e spettatore.  Qui non c'è spettatore, qui non c'è l'hypocritès, qui non c'è l'attore che mente. 
Questa immersione posso solo definirla un'espressione artistica ad altissimo livello grazie alla quale è possibile partecipare ad un'esperienza assolutamente nuova in cui il proprio daìmon - ovvero l'unico dio esistente in quanto unica realtà immateriale - si pone in dialettica con realtà umane esterne che vogliono mostrarti il proprio daìmon... forse alla ricerca della conferma dell'universalità umana e dei suoi mutamenti. Prima protetti da un magico cerchio si assiste al sorgere e al perire del Caos... si assiste alla danza di Eunome e allo schiudersi del suo uovo primordiale; si assiste alla generazione della materia che ciecamente mutando si agglutina in forme sempre più complesse fino a diventare essa stessa, copulando con la luce, genitrice di pensiero e rapporto umano.
Poi si è spinti nel labirinto in cui, senza più difese, ci si deve misurare con l'altro da sé per ciò che tu sei, per ciò che lei/lui/loro è/sono. Ci si deve misurare con la realtà invisibile che l'altro di volta in volta ti offre a cui tu aderisci o rifiuti ma a cui rimani comunque affascinato per quei vincoli così umani di cui parlava Giordano Bruno. Poi si esce un po' stralunati ma molto più ricchi. Più ricchi per l'unione di realtà diverse ma uguali, più ricchi per la separazione da realtà uguali ma diverse. Più ricchi perché nessuno esce indenne da uno sguardo... nessuno.
Un immenso grazie... 

Gian Carlo (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Seppur non sia facile, provo comunque a scrivere alcune mie impressioni e sensazioni vissute durante lo spettacolo (spero sia il termine più adatto, dato che si tratta di molto di più). Per me, Metamorfosi è stato un viaggio, un viaggio dentro me stesso attraverso sensazioni, ricordi, paure, vergogna e sogni. Il viaggio nel buio, il gattonare, il tenersi per mano, mi ha suggerito l'attraversamento verso una dimensione altra, parallela alla realtà. 
I simboli dell'uovo, del capro/satiro, del nudo della "Potnia Theron", il sacrificio dell'anguria (fertilità e ricchezza) mi hanno ricondotto alla dimensione ancestrale dell'origine di ogni cosa. Il gioco coi sassi, la terra, la dimensione viva e giocosa con la natura, con la dimensione elementare del tutto, che ne conserva così forte l'essenza e il primo suo significato. Dentro al cerchio, all'inizio, sentivo la necessità di potermi relazionare con gli attori, con questi fantasmi/echi della mia memoria, dei miei sentimenti. Quando sono stato preso per mano è stata per me, quindi, una liberazione. 
Le varie stanze del dungeon sono state letteralmente dei colpi al cuore. La malinconia e la dimenticanza del passato nella stanza delle bambole, l'orfica stretta di mano con la donna sepolta e l'impossibilità di riportare in vita il passato, la morte del passato. L'angelo bianco che mi guida solamente con la sua luce, l'impossibilità di vedere fino in fondo oltre il velo, di un passato che conduce, dei fantasmi che ci guidano ma che non ci lasciano leggere direttamente quello che vogliono dirci, che parlano per simboli ed immagini, come le radici di piante appese al soffitto, che mi hanno riportato immediatamente alla memoria il XIII dell'Inferno dantesco. Piante di vita, di vite passate e spezzate, ho interpretato io, che parlano attraverso le loro stanche radici. La stanza rossa è stata per me l'amore, e lo specchio sul soffitto la sorpresa di scorgermi in quella dimensione, che per me da sempre è stata percepita solo attraverso gli occhi di chi mi stava di fronte e con cui vivevo quel momento.  E ora potevo vedere anche me, mi vedevo amare. L'altalena è il gioco, un gioco colmo di significato: mi ha ricordato l'altalena di mio nonno, il primo gioco che ho fatto con lui, il primo gioco che mi ha insegnato assieme a lui. Mio nonno se n'è andato ormai 14 anni fa, per questo è stato molto intenso. La luce della candela mi ha ricordato il suo lento spegnersi nel dolore e, assieme, nella pace. La stanza dei libri, quei libri di cui non ho potuto leggere nemmeno il dorso, o il titolo sul fronte, perché avrei sentito colpa e vergogna nel distogliermi dal dolore della donna che, invano, inerme, cercavo di rincuorare. La distesa di terra è stata l'ossimorica catarsi di una rinascita nella morte e la colpa di sotterrare un piccolo corpo, di cui ho accarezzato dolcemente i piccoli piedi, la colpa di avere già la mano colma di terra, prima che l'attore la ricolmasse di altra terra. Non ho aspettato compisse lui il gesto che mi aspettavo compisse, l'avevo già compiuto, e questo mi ha fatto provare colpa, una profonda colpa, per quanto per me potesse essere naturale quel gesto, quella sepoltura. La scala e il bacio sono stati per me di una potenza enorme. Il bacio in sé, certo, ma soprattutto vedere quanti altri baci, sperduti, visibili solo al lume di una flebile candela. La donna, l'amore: l'amore da molti vissuto, da molti sperimentato. Quanti uomini e donne, quante anime hanno sperimentato l'amore, un amore che ora può rivelarsi flebile al ricordo. Quanti amori passati e ormai dimenticati. Di cui rimane solamente un'ombra. E il ricongiungimento finale, attraverso anche le parole di Ovidio, di quel voler "cantare di corpi mutati" mi ha fatto comprendere del mutamento interiore a noi, di quanto avessimo vissuto, noi 5, tra cui molti sconosciuti. Di quante vite ci fossero in quella stanza. Di quanto si muoia e rinasca ogni giorno ad ogni tramonto e ad ogni alba, di quanto sia tutto in movimento. Nel turbinio infinito tra vita e ricordi. 
E la quiete, finale, dove è stato così difficile chiudere gli occhi e rilassarsi. Sarei voluto rimanere nel dungeon per molto tempo ancora. E' stato, per me, entrare in un viaggio attraverso mito ed essenza. Essenza all'interno di me, del mondo, dell'uomo. Spero di non essermi dilungato eccessivamente, ho scritto come un fiume in piena quello che la mente mi ha permesso di digerire, anche se, in realtà, sto ancora digerendo quello che ho visto e vissuto. Non è facile. 
Grazie a tutti voi.  

Pietro (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Che dire.... Meno male che ci siete voi, e quelli come voi, che in piccolo, non devono rendere conto a chissà quale "contenitore" europeo, o internazionale. E quindi per certi versi vi ritrovo esattamente come quando tutto è cominciato; con la stessa voglia, completamente espressa, di sperimentare e stupire. Ho avuto l'impressione che ci abbiate dato dentro più di molte altre volte; forse per colpa o merito del covid, (che a me, ha tolto davvero tanto); e quindi mi sono sentito davvero coinvolto. 

Vincenzo (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Grazie! Un'esperienza che non è traducibile in parole. Nel senso che, le parole non bastano a spiegare il pellegrinaggio (e infine, uno stato di centrifuga) emozionale vissuto.
Staccare la mente e il pensiero e lasciarsi portare dalle emozioni. Un invito (se lo era) che ho seguito non subito. La mente era ancora 'mente'! Ho vissuto angoscia e tormento, gioia e liberazione, dolore, speranza, resistenza e fiducia.  Nella ciclicità dell’essere umano ho vissuto come in una proiezione, lo svolgersi della vita, la mia. Ho avuto paura. Ho resistito alla morte. Ho sentito (troppo) il dolore. Ho sentito 'casa' nell’umano sentire. Soli, ma non da soli. Abbandonati, ma sempre guidati...
Un'esperienza di vulnerabilità. Di consapevolezza. Di metamorfosi. Di desiderio di vivere 'tutto' per quello che è. Un'umana crescita. 

Roberta (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Come è oramai risaputo, affrontare un'esperienza al Teatro del Lemming significa condividere una poetica di scena che conduce al distacco totale dalle forme della vecchia e nuova drammaturgia, alla quale si accompagna un abbandono altresì totale alla suggestione, allo smarrimento, al fascino di una incerta ed enigmatica comprensione.
In tale contesto la definizione di "spettatore" diventa un autentico ossimoro, poiché la sua proverbiale passività statica viene del tutto destrutturata. Nel caso de Le Metamorfosi, infatti, lo spettacolo comincia per un limitato pubblico di cinque persone invitato a un'operazione preparatoria di svestimento e vestimento, che tanto ricorda il rito dell'attore nel camerino.  
Tolti i calzari, s'indossa un camice bianco che, oltre ad alludere al vestimento di remotissime tuniche, spersonalizza e accomuna gli astanti prima che abbia inizio la loro esperienza scenica. Quindi si comincia! Lasciato il vestibolo, una catena umana conduce in uno spazio aperto semioscuro, nel quale ogni invitato viene confinato all'interno di un perimetro circolare invalicabile che incute un senso di prigionia. Da questa collocazione, al solo lume di fiaccola, assistiamo allo svolgimento dell'iniziale rito sacrificale (l'immancabile deflagrazione di un’anguria, vero topos della compagnia) e al fluttuare dei celebranti, dei quali colpiscono gli sguardi magnetici e il bisbiglio quasi inudibile. Su tutto domina la presenza di una musica di ambiente e una voce guida soverchiante, della quale è forse inutile cercare di cogliere il "senso del discorso" di fronte alla sua forza evocativa.
Dallo stato di detenzione, d'un tratto, senza riuscire ad afferrare precisamente il momento, si viene liberati e sbalzati in una nuova dimensione. Lo spettacolo da rito collettivo diventa percorso individuale, ciò che le note di regia (consegnate intelligentemente solo alla fine) chiamano "il labirinto".
E' in questa fase che il viaggio teatrale raggiunge il suo climax e il meccanismo scenico la sua perfezione.
Si perde contatto con gli altri compagni di via e condotti per mano dagli "spiriti guida", attraversando corridoi nel buio più assoluto, si visitano in successione vari padiglioni, nei quali si matura un'esperienza del dolore forte e penetrante. Colpisce il disperato desiderio di comunicare che l'attore (nostro alter ego) tenta di mettere in atto, con il suo dire e non dire, il suo respiro ansimante, il tocco affettuoso e seducente, il lamento lacerante, il sorriso inquietante: un dialogo vis a vis inespresso quanto espressivo.
Siamo nel pieno della nigredo, la fase della nostra dissoluzione e purificazione, ciò che il libro dell'alchimia chiama Opera al Nero, che per Odisseo è l'Ade e per Dante l'Inferno. Già, le note registiche citano l'Alighieri e forse rivelano la vera essenza dei nostri interlocutori sulla scena, così vicini alle entità spirituali che il Poeta incontra, delle quali comprende il patire e condivide il pianto.
Terminato il percorso nelle stanze della sofferenza, ricongiunti (chissà come) agli altri compagni di viaggio, si percepisce un naturale sollievo dell'anima; ma al contempo una grande malinconia ci coglie nel separarci da coloro che, con vigore e dedizione, hanno reso possibile il tutto, all'interno di una macchina teatrale complessa, realizzata con povertà di elementi e ricchezza creativa... a lume di candela. 

Daniele (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

C'è stato bisogno di un paio di giorni per riordinare i pensieri scaturiti dall'esperienza del labirinto. Immergermi in una esperienza del genere, per me che sono una addetta ai lavori, è stato un lavoro faticoso perché rimbalzata continuamente tra l'essere "spettatore" e il bisogno di osservare ogni dettaglio nel suo tecnicismo. E in quello spettacolo la cura del dettaglio è poderosa, impossibile non accorgersene.
Ciò che più mi è rimasto impresso, al punto da risuonare da giorni nella mia mente, è assolutamente il testo. O i testi. Parole sussurrate che però arrivano addosso come lame. Vere in modo disarmante, potenti come schiaffi. Lo devo ammettere, sono sempre stata diffidente di fronte a questa tipologia di approccio performativo. Se avessi assistito a questo spettacolo dieci anni fa probabilmente non avrei capito nulla, probabilmente mi avrebbe addirittura infastidita. Ma oggi è arrivato là dove doveva arrivare, rimarcando quella consapevolezza che solo il tempo e l'esperienza ci fanno acquisire, con fatica.
Ho pensato: "finalmente". Finalmente qualcuno lo dice che non serve a nulla capire sé stessi ed affannarsi per un'intera vita a farlo. Finalmente qualcuno che ci mette uno specchio davanti e ci costringe a guardare la nostra immagine riflessa senza che questo faccia parte di una ritualità puramente estetica ormai sempre più esasperata. E' stato un bagno di verità, arrivato non senza le giuste carezze.
Meraviglioso il parallelismo con cui la parola indicava la strada alle azioni. La parola, filo conduttore, portava ogni attore ad esserle fedele o almeno questo era ciò che si percepiva. Ognuno di loro era così presente scenicamente da dominare ogni possibile emotività: impossibile distrarsi, impossibile perdere un solo secondo di ciò che accadeva. Meravigliosa l'attrezzeria di scena, i colori, i costumi, le ambientazioni. Geniale l'utilizzo del teatro e del palcoscenico a "stanze", che ha permesso a me, spettatore, di perdere l'orientamento pur sentendomi continuamente salvata ed afferrata da mani forti e sguardi rincuoranti. Leggevo che Metamorfosi è nato prima del Covid, che lo ha poi bloccato, e riflettevo sul fatto che questo è uno spettacolo che non poteva che arrivare esattamente nei tempi che stiamo vivendo, provati e malridotti da questo biennio di chiusure fisiche ed emotive. La paura del contatto è diventata endemica, il totale rifiuto della giusta introspezione è ormai sempre più diffuso, per prediligere visioni più superficiali adatte ai social, inadatte alla vita. Perciò ho trovato l'esperienza vissuta sabato quella sberla di cui avevo ed abbiamo bisogno, quell'occasione di riflessione assolutamente non retorica ma cruda al punto da far commuovere, una commozione intima, silenziosa, personale. 
Nell'ultima stanza ho salito le scale di casa dei miei genitori quando, da bambina, andavo a dormire con una lucina che papà lasciava sempre a metà intensità perché detestavo le tenebre ed ho rivissuto quella paura del buio che allo stesso tempo era anche nido, calore, sollievo. Dopo essere stata costretta a guardarmi allo specchio e a ragionare sull'impossibilità di trovare risposte agli affanni, quell'ultima stanza mi ha consolata in un abbraccio che diceva "non capirai mai ma va bene lo stesso".
E' stato catartico, personalmente. E' stato illuminante, registicamente.
GRAZIE. 

Selene (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Mi sono sentito un bambino, mi sono sentito inesperto, mi sono sentito sporco, lussurioso e poi colpevole. Voglio davvero conoscere me stesso? 
Sono stati minuti densi, sacri! Mi hanno permesso di contemplare lo spazio noto trasfigurato dalle candele, dai teli, e dai personaggi che mi si facevano vicino! E sopra il materasso speravo solo quel momento non finisse mai... No mamma, ti prego, lascia che io stia qui ancora un po'. 
Emozionante, coinvolgente, immersivo, mi ha messo l'animo in disordine, ha ampliato i sensi e fatto ricordare che sono capace di provare molte più emozioni di quelle che credo, che sotto la corazza della quotidianità c'è un mondo, timido ed imbarazzato... ma ricco! 
Vi ringrazio infinitamente! 

Michele (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Nella prima parte, il sedermi all'interno di quel cerchio mi stava comodo e scomodo allo stesso tempo.... mi sentivo protetta e limitata, da quello stesso confine che mi "proteggeva". Per me, dall'inizio alla fine, è stato un viaggio... un viaggio che non aveva un dentro ed un fuori ben delineati, ma sentivo che tutto avveniva in un punto ben preciso, che si incontra poco prima di uscire fuori e poco prima di entrare dentro. Non so descrivere meglio di così, quello spazio, ma so cosa mi ha attraversata in questo viaggio, durante il quale mi ha accompagnata un sentire molto profondo, forte, toccante, emozionante, dal buio alla luce in pochi attimi, dalla disperazione alla vita, in pochi attimi.  Scegliere di vivere da vivi, è una scelta. Vi ringrazio infinitamente per tutto il vostro lavoro, per la professionalità, per l'intensità, la passione, l'anima, l'amore che mettete nel donare l'esperienza di questo percorso, intriso di tutto.
grazie infinitamente  

Isabella (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Seduta nell'anticamera, ho potuto rendermi conto di quanto fossi emozionata. Tenersi per mano, mi ha riportata indietro nel tempo. Un gesto che avevo dimenticato e  che tanto mi mancava. La mia mano sinistra stretta in un'ampia e calda mi conduceva nel buio, mentre la mia mano destra ne stringeva una gracile e fredda. Un inizio fortunato, ho pensato. 
Seduta dentro il cerchio in quel bianco e nero lucido, mi sentivo al sicuro, fino all'arrivo del dirompente "rosso" e del possente "nudo" della madre. La sua lentezza e la sua potenza, mescolata all'inconfondibile odore di fresco, hanno scardinato le mie protezioni, favorendo l'apertura di emozioni recondite. 
(…) Un’esperienza forte e importante che ha interrotto e colmato un lungo lockdown non solo pandemico per me.  

Monica (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Vedere questo spettacolo è come trovarsi davanti ad un'opera d'arte astratta, all'inizio non capisci niente e ti sforzi di comprendere... Niente, ti senti inadeguata ma vuoi entrarci, il viaggio che l'opera, in questo caso lo spettacolo ti propone ti porta a sentire un turbinio di emozioni diverse tra loro e qui capisci che non devi capire ma devi lasciare andare affidandoti agli sguardi ai movimenti degli attori  che, atto dopo atto azione dopo azione di catapultatano in una dimensione senza tempo, in uno spazio surreale. L'esperienza ti sconvolge, ti avvolge, ti scioglie e così è bene lasciarsi andare e provare, non è per tutti è un mettersi in gioco e per me accettare di non capire è una liberazione.   

Silvia (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Sono uscita con la consapevolezza d'aver vissuto un'esperienza coinvolgente, a dir poco unica.
Un vortice di emozioni che hanno provocato uno scossone nella propria anima.
La sensazione più forte e piacevole è stata quella di riuscire a liberare una sorta di energia centrifuga di aggregazione con l'altro. Gli attori, bravissimi, attraverso sguardi penetranti, espressioni potenti e intense, contatto corporeo ti mettono davanti a un te stesso specchiato affinché tu possa riscoprire qualcosa di te...... e procedi sempre più nel buio della "caverna", dove solitamente hai paura di inoltrarti, ma l'altro è rassicurante e avanzi nel più profondo del tuo io e riscopri la BELLEZZA.... e un frammento di solitudine se ne va.
Accidenti! Questo è il vero teatro: l'essenza del tragico di matrice greca, una palestra, il migliore banco di prova delle emozioni "indotte" che servono ad invitare lo spettatore ad allentare le difese ed entrare in empatia con l'altro.
Tutto ciò, a mio parere, produce uno scatto conoscitivo e anche morale. Sì, morale, perché viviamo in un mondo fortemente disorientato, il nostro tempo è tempo di povertà estrema in termini di valori e "l'ospite inquietante" (nichilismo) impera dentro di noi. Ma il Lemming ha abbracciato in pieno la sua missione, offre gli strumenti per reagire: attraverso il contatto, il movimento del corpo, che è poi movimento della vita, il risveglio delle emozioni ti invita a vivere e far vivere senza pregiudizi e ipocrisie rivedendo la tua scala di priorità.
Grazie per questo prezioso regalo 

Anna (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

Lo spettacolo è ovviamente ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, ma non rappresenta, almeno per me, le varie metamorfosi descritte nel testo, ma ne trae spunto per richiedere allo spettatore una "sua" metamorfosi. Una metamorfosi che non necessariamente si esaurisce con la partecipazione allo spettacolo, ma che sedimentando nella mente ci richiedono delle meditazioni che si protraggono nel tempo e ci suggeriscono quotidiane rinascite. 
Perché il vostro teatro permette questo "miracolo": perché a differenza della rappresentazione teatrale tradizionale che stimola i canali comunicativi del visivo e dell’uditivo, voi utilizzate principalmente il canale comunicativo più potente: quello dei sensi. 
Attraverso oggetti, odori, il contatto dei corpi e il respiro che ne scaturisce, la vostra drammaturgia attraversa i pori della pelle dello spettatore, che, come un attore, deve predisporsi ad accogliere quanto gli viene trasmesso. 
Grazie  

Carlo (lettera di risposta allo spettacolo – settembre 2022) 

 

È stata (per me) un'esperienza nuova, forte, emozionante e riflessiva. Sono tornata a casa arricchita dal punto di vista teatrale, ho aperto le mie vedute sul "fare teatro". 

Cristiana (Post su Facebook – settembre 2022) 

Lemming

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