"Il Festival Opera Prima, in continuità con un analogo Festival che si svolgeva a Narni una decina di anni fa, si propone, in controtendenza rispetto alle consuetudini odierne, di offrire un panorama significativo, anche se non esaustivo, delle tendenze e dei diversi percorsi intrapresi oggi dal giovane Teatro sperimentale. E' un fatto evidente che alla generazione degli anni '70 non si è potuta sostituire in questi anni una nuova generazione teatrale, complice anche, e soprattutto, un mercato sempre più teso a discriminare il nuovo. Gli spettacoli proposti sono testimonianza di un territorio incandescente, di difficile classificazione ma sempre di estrema vitalità. Il Festival è dedicato a Martino Ferrari che è stato tra i fondatori e regista del Teatro del Lemming."

(Dal libretto del festival)

 

Hanno partecipato:

  • MARCO MANCHISI: "Amlodhi"
  • MASQUE TEATRO: "Selenia Zesthai - Essere Lunatico"
  • LABORATORIO PERMANENTE TEATRO AL PARCO: "Pinocchio: Ahi, m'hai fatto male"
  • Rassegna Video e Microteatro
  • INCERTI MOMENTI: "Medeamedia"
  • DRAMMATEATRO: "A tutti gli uragani che ci passeranno accanto"
  • TEATRO DEL LEMMING: "Cinque Sassi"
  • MOTUS: "Aid: Zona ad alta tensione"
  • Convegno: TEATRO INTER/ROTTO

Rovigo, 14/17 giugno 2007

TEATRO DEL LEMMING - Edipo - Tragedia dei sensi per uno spettatore
ALEJANDRO JODOROSKY (Francia/Italia) - Il sogno senza fine
CORPUS (Canada) - Les Moutons
ETXEA (Francia) - Inexib
HEL HANAGER (Egitto) - On the table listening to Wagner
SABA SALVEMINI (Italia) - La notte poco prima delle foreste

Rovigo, 8/11 giugno 2006

LA VOCE DELLE COSE  - La macchina incosciente
CITTA' DI EBLA - Wunderkammer
TRICKSTER TEATRO - La vita: avvertenza e modalità d'uso
FEDERICA FESTA - Testa o croce? L'ora dei perché di una terza B
TEATRO DEL LEMMING - NEKYIA Inferno Purgatorio Paradiso
MM MACCHINE MODULARI - La società dello spettacolo
ALDES ROBERTO CASTELLO - Stanze per spazi atipici

Rovigo, Teatro Sociale - 30/11/09
Castelmassa, Teatro Cotogni – 12/03/10

ROBERTO LATINI/FORTEBRACCIO TEATRO
Desdemona e Otello

Rovigo, Teatro Studio – 22/01/10

TEATRO SOTTERRANEO
Dies Irae

Rovigo, Teatro Studio – 22/02/10

ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI
Nascita di una nazione

Castelmassa, Teatro Cotogni – 23/02/10

ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI
Le troiane

Rovigo, Teatro Sociale – 24/03/10

SOCIETAS RAFFAELLO SANZIO
Ingiuria

Castelmassa, Teatro Cotogni – 22/04/10
Rovigo, Teatro Studio – 25/04/10

TEATRO DEL LEMMING
Il sangue degli altri

Rovigo, Teatro Sociale – 30/04/10

ABBONDANZA/BERTONI
La massa

Rovigo, Teatro Studio – 07/05/10

MUTA IMAGO
Lev

Rovigo, Teatro Studio – 28-29-30/05/10

TEATRO DEL LEMMING
Le stanze di Amleto

 

IL ROVESCIO E IL DIRITTO - Parte II

con Alessio Papa, Fiorella Tommasini, Natascia Tommasini, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini musica e regia Massimo Munaro

 

Dopo la Tetralogia dedicata al mito greco, che prevedeva il coinvolgimento diretto e sensoriale del singolo spettatore partecipante, e dopo la lunga gestazione di NEKYIA, questo lavoro, è pensato come seconda tappa di un dittico che il nostro gruppo ha realizzato attorno ai  regni che la cultura occidentale designa come i regni dell’oltre-mondo.
Questo Ciclo di drammi didattici prende il titolo di IL ROVESCIO E IL DIRITTO: si tratta qui, per noi, di ripensare l’avventura Dantesca come attraversamento possibile della condizione esistenziale umana.


altarisolgruppoparticolareIL SANGUE DEGLI ALTRI inizia esattamente laddove si concludeva A PORTE CHIUSE.
In quel lavoro la dimensione claustrofobica, senza-vie-di-uscita, finiva, paradossalmente, per rovesciarsi dagli attori agli spettatori nello spazio aperto di un cortile. La finzione teatrale sembrava cedere il posto, improvvisamente, alla realtà concreta della vita.
Da quel finale sospeso riparte qui la storia dei medesimi personaggi, che pure sembrano, rispetto all’ineludibile stasi dell’inferno, essere sottoposti ora ad una lenta, per quanto dolorosa, trasformazione. Una metamorfosi purgatoriale. In effetti, a differenza della dimensione di angosciante incomunicabilità vissuta nella prima parte di questo trittico, qui un dialogo fra i vivi e i morti pare essere possibile.
Le erinni infernali sembrano essersi trasformate in eumenidi. I morti tornano, come Antenati, a interrogarci: essi ci pongono di fronte ad una responsabilità, ci chiedono di realizzare una scelta che finisce per riguardare direttamente la nostra vita. Riescono a strapparci una promessa. I
l tema mitico, di una rivitalizzante discesa dei vivi nel regno dei morti, si incontra qui con il deciso affermarsi di una dimensione storica.

gruppomanialzatequattroNe IL SANGUE DEGLI ALTRI, il cui titolo deve intendersi anche come un omaggio al romanzo e al pensiero di Simone De Beauvoir, lo scenario storico è quello della resistenza europea sul finire della seconda guerra mondiale. Ma i fatti della resistenza non sono per noi da collocare in un passato interamente trascorso: essi si danno al contrario, esattamente come il mito, come sempre attuale possibilità dell’esistere.
La Resistenza si offre così come metafora perfetta – purgatoriale – della lotta per la conquista di una felicità possibile.

La struttura formale, il passaggio continuo di stanza in stanza, rievoca e capovolge l’andamento del precedente lavoro. Alla lacerata frammentazione dell’identità individuale, che caratterizzava A PORTE CHIUSE qui la centralità è assunta dal flusso di una ritrovata identità collettiva.
Alla scena, quasi interamente femminile, si contrappone un’unica figura maschile, che da oppositiva finisce per definirsi come una alterità che evoca la possibilità di una congiunzione.
Il nero, tonalità dominante del precedente lavoro, cede il posto al bianco.
Come sempre nei nostri lavori si richiede agli spettatori una partecipazione diretta, una assunzione di responsabilità. Rispetto al passato però gli spettatori si ritrovano ad essere partecipi consapevoli di un piccolo fatto collettivo. Da cui, per noi, oggi la possibilità di pensare al Rovescio e il Diritto come ad un ciclo di drammi didattici.

A porte chiuse

IL ROVESCIO E IL DIRITTO - Parte I

 

con Alessio Papa, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Natascia Tommasini, Massimo Munaro

musica e regia Massimo Munaro

Dopo la Tetralogia dedicata al mito greco, che prevedeva il coinvolgimento diretto e sensoriale del singolo spettatore partecipante, e dopo la lunga gestazione di NEKYIA - Inferno Purgatorio Paradiso, questo nuovo lavoro può essere pensato come prima tappa di un dittico che il nostro gruppo intende realizzare attorno alle Cantiche Dantesche.
Prendendo come riferimento il pensiero esistenzialista francese si tratta qui, infatti, di ripensare l’avventura Dantesca come attraversamento possibile della condizione esistenziale umana.

altarisantoniaciba

Questo lavoro prende come oggetto d’indagine, in modo piuttosto inedito per noi, un testo teatrale: Huis Clos - PORTA CHIUSA di Jean Paul Sartre.
Pur volendo restare assolutamente fedeli allo spirito del testo e del pensiero sartiano, questo lavoro, per così dire, ne reinventa la lettera.
I tre personaggi Sartriani, un uomo e due donne, (Giuseppe Garsino, Ines Serrano, Stella Rigolti – che qui affermano l’appartenenza geografica e linguistica alle nostre terre) sono nel nostro lavoro letteralmente esplosi in una duplicità di presenze.

L’identità di ciascuno appare così, palesemente, attraverso queste molteplicità di piani, nella propria autentica complessità.

All’ambientazione a scena fissa che Sartre immagina Secondo Impero, segue qui invece un succedersi, per gli attori e gli spettatori, di quattro ambienti diversi: la sala teatrale, una cucina, una piccolissima camera da letto, lo spazio aperto del teatro davanti ad una strada – a palesare lo sprofondare, nella ripetizione, sempre più in una dimensione infera e soffocante che è esattamente pari a quella delle nostre vite.

Lo spettatore, l’Altro per antonomasia, è drammaturgicamente pensato nel suo essere vivo in questo spazio di morti. Egli è un invisibile visitatore. La sua presenza finisce però per essere sempre più gravida di responsabilità.
Come sempre il Teatro suggerisce questa possibilità impossibile di incontro e di relazione, proponendo, qui in modo sottile ed ambiguo, una elementare ed implacabile reversibilità dei ruoli. Il cerchio, per una volta, non si chiude e il teatro sembra voler proiettarsi direttamente nella vita degli spettatori coinvolti.
Ma, infine, se “l’Inferno sono gli Altri”, gli Altri appaiono, Sartrianamente, anche l’unica via di accesso ad un qualunque possibile immaginato paradiso.

dan 7NEKYIA

viaggio per mare di notte

Parte I: INFERNO

con Alessio Papa, Diana Ferrantini, Chiara Elisa Rossini, Fiorella Tommasini, Katia Raguso
musiche e regia Massimo Munaro

a Roberto Domeneghetti
Questo lavoro costituisce la prima parte di NEKYIA, che in greco significa viaggio per mare di notte o discesa agli inferi. Il ciclo suggerisce la possibilità di un ripensamento radicale dei tre regni che la nostra cultura occidentale designa come i regni dell’oltre-mondo: Inferno – Purgatorio – Paradiso rappresentano anche oggi, infatti, innanzi tutto un patrimonio comune e insostituibile del nostro universo simbolico. Il ciclo prevede il coinvolgimento diretto, drammaturgico e sensoriale di un gruppo limitato a 17 spettatori a replica. La prima parte di questo ciclo, INFERNO, può essere considerata anche come un’opera autonoma ed è per questo che viene proposta da sola e senza limitazione di spettatori.
Da un punto di vista drammaturgico il lavoro su INFERNO deve intendersi come una libera e personale scrittura scenica che interroga attori e spettatori a partire dal loro stesso statuto e, persino, nella loro comune e inquieta condizione di cittadinanza.
Se da un punto di vista psichico l’Inferno, come è per il teatro, suggerisce uno sprofondamento dell’anima nel regno dei morti, del sogno e dell’inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente. A questo presente gli spettatori, qui, sono lasciati nella loro condizione quotidiana di muta impotenza.
Ma, d’altra parte, se, come cerchiamo di testimoniare con Inferno, la nostra società è davvero diventata una “società dello spettacolo”, invadendo qualunque espressione sociale, il compito del Teatro, a noi pare, è diventato quello di affermare per sé uno statuto non spettacolare, poiché questa è l’unica via onorevole, forse l’ultima possibile, per giustificare la propria esistenza.
Riportare così il teatro ad una dimensione rituale, da cui pure esso sgorga originariamente, significa affermare oggi la sua funzione e la sua necessità. Da questo punto di vista il teatro – da tempo – dovrebbe essere considerato non più luogo della finzione – che lasciamo volentieri all’infera spettacolarità diffusa – ma come luogo della rivelazione (Theatron, appunto), dovrebbe essere cioè in grado di costituirsi come regno dell’Anti-finzione.
In altre parole: o il Teatro è in grado di proporsi come momento di Verità per una comunità di attori e spettatori considerati nella loro singolarità personale – perché, come ha scritto Gabriel Marcel, “non vi è autentica profondità che quando può realmente effettuarsi una comunicazione umana e una tale comunicazione non può darsi in mezzo alla massa” – o il teatro non ha più alcuna ragione di esistere.
Il lavoro su INFERNO rappresenta la messa in gioco di questa questione, oggi, ineludibile. Il lavoro si costituisce come riflesso della nostra infera condizione quotidiana. E, come uno specchio crudele, questo riflesso si propone di provocare nello spettatore uno shock rivelatore e salutare.
Per gli spettatori si tratta così, nell’attraversamento completo di NEKYIA, di rimettere concretamente in gioco il proprio ruolo e la propria funzione: dalla solitaria passività iniziale (Inferno), alla trasformazione (Purgatorio) in attori di un gioco collettivo (Paradiso). La scommessa per noi oggi è infatti quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo.

LO SPETTACOLO NON PREVEDE LIMITAZIONI DI SPETTATORI

 


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 "Provate a immaginare l’Inferno di Dante. Provate e verrete travolti da una miriade di immagini raccapriccianti. Lo stesso  percorso ha seguito il Teatro del Lemming per “Inferno, Nekyia parte I” che ha messo insieme uno spettacolo di indiscutibile e profonda bellezza. Massimo Munaro e la sua compagnia è sceso agli inferi, aggrappandosi a video, barre da ospedale, cappi, ferite che sottolineano la ritualità, e nello stesso tempo, la funzione di un teatro sociale senza belletti. Il pubblico è impotente, ma è costretto ad interrogarsi. Bellissimo" Silvia Tesauro - Giornale di Sicilia, 9 Febbraio 2007

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"Cessano le peculiarità individuali, il piombo risuona oscuro nell'anima di ogni spettatore in un teatro che non è rappresentazione. Al termine, si è espulsi dall'inferno allo stesso modo in cui si è entrati, e s'immaginano - o si sperano - gli altri passaggi verso la trasmutazione. Uno spettacolo unico..." Claudio Elli - Leonardo / PuntoLinea, 7 Febbraio 2007

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NEKYIA - viaggio per mare di notte

INFERNO PURGATORIO PARADISO

con Diana Ferrantini, Chiara Elisa Rossini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa, Katia Raguso, Massimo Munaro
drammaturgia, musica e regia Massimo Munaro

a Roberto Domeneghetti

 

 Dopo una lunga serie di studi preparatori questo lavoro conclude la nostra ricerca, durata quattro anni, sulla Divina Commedia.
Il lavoro drammaturgico che qui abbiamo operato è diretto alla sintesi, nel tentativo, al di là della lettera e della struttura del testo, di restituire, con un gesto estremo e purificato, la complessità di un percorso che abbraccia in Dante una riflessione sulla condizione psicologica, politica e morale dell’uomo e del mondo in cui vive.
Il viaggio di Dante è un viaggio nell’al di là del mondo e insieme è un viaggio alla ricerca del senso ultimo del nostro esserci nel mondo. Dante attraversa la sua anima individuale nello specchio dell’anima universale del mondo e incontra l’anima universale nel riflesso della sua propria anima. Occorre così pensare a Dante come cittadino di una polis, e alla sua Nèkyia, (in greco viaggio per mare di notte o discesa agli inferi), a differenza di quella compiuta da Odisseo o da Orfeo, come a un tentativo di rifondazione di una comunità. Da qui la scelta di affidare ad un piccolo gruppo di spettatori (in questa caso diciassette) l’identità e il ruolo del protagonista.
Proporre a questo piccolo gruppo di spettatori una Nekyia sulle orme del viaggio dantesco, significa per noi riformulare il linguaggio del teatro in favore della sua essenza di rito radicale e trasformativo. Un rito che sappia interrogare lo statuto teatrale fino a rimettere in gioco i suoi poli fondanti: gli attori e gli spettatori. La loro relazione è qui ripensata, rispetto alla nostra precedente Tetralogia, dove il coinvolgimento era pensato per ogni singolo spettatore partecipante, in favore del corpo di una, seppure piccola, comunità.

L’Inferno di Dante è un luogo archetipico. Se da un punto di vista psichico l’Inferno, come è per il teatro, suggerisce uno sprofondamento dell’anima nel regno dei morti, del sogno e dell’inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente. A questo presente gli spettatori sono lasciati nella loro condizione quotidiana di muta impotenza.
Nel Purgatorio continuano ad avere stanza tutti gli affetti tipici della condizione umana: la paura, la speranza, il rammarico per quel che, in vita, si poteva dire o fare e che resta non detto o non fatto. Certamente si tratta di una dimora provvisoria, di un «paese di transito». In Dante l’accento cade sulla sua funzione di trasformazione di cui proprio la condizione penitente offre la chiave. Per i viventi il Purgatorio è il luogo in cui potersi riconciliare con i propri morti attraverso la preghiera e la memoria. Nel nostro lavoro, dopo una vestizione rituale, tutto assume l’andamento di una cerimonia sacra. Il maestro che ci accoglie, ci inizia progressivamente alla preparazione di un viaggio che si svela, dietro la porta buia, come niente affatto rassicurante quanto necessario.
Ci si immagina il Paradiso dantesco come qualcosa di statico, di lietamente sereno o come il luogo della grazia imperturbabile. Ma al contrario esso si da come il luogo del perturbante estremo. Perché è proprio questa grazia che ci coglie, come Dante, del tutto impreparati e che ci strugge fino allo sfinimento. Ciò che ci perturba è questa divinità vivente che è della terra, degli occhi, delle mani, delle orecchie, della pelle, di tutti i nostri sensi esplosi.
Per gli spettatori si tratta così, durante questa esperienza, di rimettere concretamente in gioco il proprio ruolo e la propria funzione: dalla solitaria passività iniziale (Inferno), alla trasformazione (Purgatorio) in attori di un gioco collettivo (Paradiso).
La scommessa per noi oggi è infatti quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo.

Questo nostro lavoro, infine, è dedicato a Roberto. Non solo perché questo progetto – come sempre – è stato discusso fra noi fino alle ultime ore della sua vita, fra mille parole, mille paure, mille entusiasmi; non solo perché senza di lui – senza il suo esempio, il suo sostegno, il suo lavoro, le sue idee – questo progetto probabilmente non sarebbe nemmeno mai stato immaginato; ma anche nella speranza che fra le tante immagini e Visioni di cui si nutre questa opera, si nasconda fra le sue pieghe e in qualche modo riverberi il sorriso del suo Volto.

 

>> IL TEATRO COME NEKYIA

 

>> Leggi un estratto della rassegna stampa

 L'ODISSEA DEI BAMBINI
Viaggio nel teatro per venti bambini di tutte le età

con:  Marina Carluccio, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa
musiche e regia: Massimo Munaro 

 

Dopo A COLONO – rito augurale per spettatore solo, omaggio esoterico e misterico dedicato al solo spettatore della Tetralogia, L’ODISSEA DEI BAMBINI rivolge la sua attenzione allo spettatore-bambino del presente, naturalmente, ma anche al bambino-spettatore del futuro.
Al lavoro, come smpre, è dedicato un sottotitolo - viaggio nel teatro per venti bambini di tutte le età - a sottolineare che l’Infanzia non è tanto, o solo, una questione anagrafica quanto un territorio dell’anima, segnata, come lo è per Odisseo, per la ostinata capacità di essere curiosi, la voglia e la paura di attraversare col proprio corpo il mondo, il desiderio che seduce, la nostalgia di casa, l’arte di ingegnarsi sempre a risolversi e a reinventarsi la propria vita – senza requie.
Si può avere 70 anni e avere conservato la curiosità del mondo e averne 7 e restare murati per sempre dentro la fortezza di Troia. L’infanzia non è una questione di anni.
Il mio Odisseo è un bambino di otto anni che entra qui dentro con altri bambini che forse conosce e forse no, ma con i quali fraternizza da subito e che aiuta a superare le tante prove di questo percorso che lo trova alla fine diverso eppure uguale. Si è forse poco riflettuto su come l’ODISSEA (a cui abbiamo dedicato il lavoro conclusivo della nostra Tetralogia e da cui scaturisce questa appendice) possa essere considerata la fonte diretta delle favole che hanno attraversato la nostra cultura occidentale, oltre che l’infanzia di tutti: un modello generativo inesauribile e, se si effettuassero delle comparazioni, impressionante.
In ogni caso mentre mamma-ATENA ci guida e ci protegge nel nostro viaggio, un’altra attrice si fa figura di tre opposti volti di donna: CALIPSO – la donna che ci lega col suo amore e coi suoi ricatti; CIRCE – la donna che ci nutre per divorarci; PENELOPE – la donna che ci ama fedele senza chiederci niente in cambio e a cui si anela tornare.
Tre volti della medesima figura archetipa, quella della Grande Madre, con la quale Odisseo sembra lottare per tutto il viaggio: per una volta però questa lotta si risolve senza morti, finalmente senza l’uccisione del drago: Odisseo fa pace con ciascuno di questi aspetti. Questo approdo sereno passa per la fuga e la sfida contro l’Orco cattivo, il CICLOPE, per la morbida stanza delle stelle di EOLO e per la dolcezza della fanciulla NAUSICAA: una principessa… o forse una sorella che gioca con noi sotto il lenzuolo.
Per  il mio bambino di otto anni si tratta di un viaggio iniziatico alla scoperta del Teatro e forse di una piccola anticipazione – oracolo gentile - dell’intero percorso che segnerà  la sua vita futura.

 

 

 

 

A COLONO
rito augurale per spettatore solo

con: Maria Grazia Bardascino, Boris Ventura, Alessio Papa, Chiara Elisa Rossini, Fiorella Tommasini, Diana Ferrantini
collaborazione drammaturgica: Roberto Domeneghetti
musica e regia: Massimo Munaro

Rispetto al rumore del mondo una possibilità resta il silenzio.

 

Dopo la tetralogia sul mito e lo spettatore, iniziata con EDIPO e continuata con DIONISO E PENTEO, AMORE E PSICHE e ODISSEO, A COLONO si configura come una  postilla, un piccolo cameo da aggiungere e da vivere come una sorta di appendice purificatrice. A COLONO si propone allo spettatore della tetralogia, e solo a lui è di fatto dedicato, come atto catartico e definitivamente liberatore da quella colpa che, in qualche misura, aveva caratterizzato, tematicamente, il percorso fino a qui  messo in essere.

Da EDIPO ad EDIPO, quindi.

 

 

 

 

 

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Lemming

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