Spettacoli infinito
Giulietta e Romeo. Lettere dal mondo liquido
con Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa.
musica Massimo Munaro
regia Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro
Il mondo liquido di cui parla il sociologo Zygmunt Bauman è il nostro tempo presente, una società sotto assedio in cui tutto sembra precario, provvisorio, mutabile, senza certezze e senza rassicurazioni, dove tutto scorre veloce, su un unico binario, quello della mercificazione.
Dove si colloca il mito di Giulietta e Romeo in questa società in cui, per restare a Bauman, anche l’amore ha perso la sua forza titanica, mitologica, ed è divenuto precario come tutte le cose del mondo?
Chi sono Giulietta e Romeo per noi? Questi due giovani sono davvero così inevitabilmente lontani dalle nostre vite? C’è qualcosa o qualcuno per cui saremmo disposti a sacrificare tutto?
Che cosa saremmo disposti a fare per vivere il nostro amore?
Il processo creativo ha invece invertito l’assunto dal quale spesso siamo partiti per la costruzione dei nostri lavori: se, come ha sostenuto lo psicanalista James Hillman, le nostre vite sono mimetiche del mito, allora forse significa che persino nelle nostre povere vite sono sparsi frammenti del mito. O almeno questo è stato lo spirito che ha guidato la nostra ricerca.
Il nostro spettacolo è formato da lettere, scritte ad un nostro amore, un ipotetico spettatore: brandelli di un tempo presente in cui la dimensione solida, quella del mito, non è ancora andata del tutto perduta e in cui si rintracciano storie di un desiderio contrastato, tracce di una violenza esplicita o nascosta, contrasti insanabili, ma anche la tenacia di un volere che non demorde.
La forma della lettera – così apparentemente desueta in tempi di email o di SMS, eppure a tutti così cara – ci ha aiutato a mantenere un dialogo fitto e fecondo fra il tempo incorruttibile del mito e questo nostro presente che anela ad una trasformazione vitale.
Questo nostro lavoro, infine, si propone come secondo movimento di una trilogia Shakespeariana che il Lemming ha in progetto di completare a breve.
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AMLETO
Con: Fiorella Tommasini, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Mario Previato, Alessio Papa, Giovanni Refosco, Boris Ventura, Katia Raguso
Musica e regia: Massimo Munaro
Elementi scenici: Luigi Troncon
Spettacolo vincitore del Silver Snow Flake al Sarajevo Winter Festival 2013
“Il tempo è fuori di sesto. O quale dannata sorte essere nato per riconnetterlo!...”
Amleto è l’opera che, più di ogni altra, inaugura la cultura moderna; anzi, per molti aspetti ne costituisce il mito fondante. Come personaggio mitico, Amleto dà vita ad un personaggio scisso, dilaniato, smarrito.
Amleto è scisso fra fede umanista e scetticismo conoscitivo, fra segno e simulacro. È dilaniato, sul piano psicologico, dalla contesa fra il nome del padre e richiamo affettivo della madre, fra passato aureo e presente decadente, fra eros e rifiuto del corpo, fra ragione e follia, fra follia recitata e follia sperimentata direttamente.
Amleto è condannato a vivere in un mondo rovesciato. Ogni valore è stato sostituito da una copia rivoltante. Ogni cosa dotata di senso è stata ridotta a una recita sinistra. Il mondo di Amleto, come il nostro, non solo cospira a desacralizzare tutto ma rende ciò che consideravamo sacro una farsa sempre più abbietta.
In questo mondo paradossale la strategia di Amleto è quella così di giocare a rovesciare ogni paradosso.
In Amleto ritroviamo la nostra solitudine, ancor prima che di spettatori, di cittadini. Se è vero che in una democrazia la regalità dovrebbe appartenere a ciascun cittadino, allora davvero ci sentiamo tutti soli e impotenti come questo triste principe che non conta nulla.
Se Amleto è Principe lo è, come noi, soltanto in quanto erede. Erede di una potenza nobile che ora appare irrimediabilmente corrotta: “C’è del marcio in Danimarca”. Erede di un padre che ha il suo stesso nome, e il cui destino egli è chiamato a compiere. Perché il destino dei figli, come per Amleto, è quello di risolvere quello che i padri hanno lasciato come irrisolto.
La dimensione labirintica del testo, che disarticola ogni linearità narrativa, ci fa sprofondare in un viaggio interiore che è al contempo anche un viaggio nella natura stessa del fenomeno teatrale.
Il nostro gioco polistilistico, che inerisce ciascuna opera della trilogia e le tre declinazioni nel loro insieme, è infatti un omaggio agli infiniti piani e alle inesauribili risonanze che l’Amleto continua ad offrire.
Nella sua natura scopertamente meta teatrale l’Amleto shakespeariano pone al centro il problema del teatro. Un teatro inteso come spettacolo, cioè simulacro, inganno, falsità, ipocrisia. Da questo punto di vista lo “spettacolo” ha ormai completamente invaso, insieme al regno di Danimarca, alla sua corte e ai suoi cortigiani, l’intero nostro mondo contemporaneo: qui la realtà si afferma come tale solo in quanto perpetua finzione.
A questa spettacolarità diffusa Amleto oppone un teatro che sappia smascherare l’inganno, che sappia diventare uno strumento in grado di prendere in trappola la coscienza dello spettatore.
Lo spazio del teatro diventa così lo spazio perturbante in cui i morti tornano a tormentare i vivi e in cui i vivi possono fare pace con essi.
L’ingranaggio di misfatti, di cui soltanto alcuni sono visibili, fa di Amleto quella macchina infernale in cui la lucidità dello spettatore esce turbata come quella di Amleto.
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ANTIGONE
con Fiorella Tommasini, Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Katia Raguso, Mario Previato, Alessio Papa, Massimo Munaro
drammaturgia, musica e regia Massimo Munaro
produzione Teatro del Lemming, La Biennale di Venezia
Creonte, reggente della città, ha ordinato di non dare sepoltura ai traditori di Tebe, tra questi uno dei fratelli di Antigone: Polinice. La giovane non può accettare una simile violazione del diritto naturale. Così di notte, trasgredendo la legge, seppellisce il corpo del fratello. Alla fine viene scoperta e condotta di fronte allo zio Creonte. Antigone non solo non si piega al volere di Creonte che invoca la legge, ma proclama ad alta voce il diritto alla disobbedienza quando la legge va contro i diritti inviolabili dell'essere vivente. E’ così condannata ad essere sepolta viva, nonostante le proteste del figlio, Emone, fidanzato della fanciulla. La volontà di Creonte finisce così per affermarsi, ma la morte di Antigone è contestuale alla terribile sventura che si abbatte su Creonte e sul suo potere.
Antigone (Ἀντιγόνη) appartiene al ciclo di drammi tebani ispirati alla saga dei Labdacidi, insieme all'Edipo Re e a Edipo a Colono, che descrivono la drammatica sorte di Edipo, re di Tebe, e dei suoi discendenti. Nell'economia drammaturgica del ciclo, Antigone è l'ultimo atto, anche se è stata scritta da Sofocle prima delle altre tragedie.
Il nucleo della Tragedia risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni diverse del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos) . Due ragioni si scontrano, si oppongono senza trovare alcuna mediazione possibile, entrambe sono portate all’eccesso e alla catastrofe.
Intorno alla sorte della giovane eroina greca questo nostro lavoro si costituisce drammaturgicamente come un processo, in cui il pubblico, diviso all’inizio in due opposte fazioni, è direttamente chiamato in causa in qualità di testimone, accusatore e accusato.
Con la nostra precedente Tetralogia dello spettatore abbiamo cercato di investigare la condizione dello spettatore/cittadino (al singolare), oggi ci interessa allargare lo sguardo alla comunità, cioè alla natura e alla condizione del nostro vivere sociale. Dopo NEKYIA (parallela al dittico IL ROVESCIO E IL DIRITTO) questo nuovo progetto rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.
La tragedia getta così luce sul paradosso di una sostanza etica lacerata in se stessa. Antigone vede infatti nella prospettiva unilaterale assunta da Creonte la negazione del diritto autentico. E, tuttavia, alla fine, è proprio il diritto divino esibito da Antigone a condurre alla catastrofe. Lo stesso contraccolpo divide dall'interno Creonte, che riconosce, alla fine, ma è ormai troppo tardi, il valore dell'ethos di Antigone, che la ragione diurna non può esaurire né spiegare.
Questo significa che natura e cultura - vale a dire: l'universale e il singolare, il sensibile e l'intelligibile - sono distinti e opposti solo nella superficie della collisione drammatica, perché, nella profondità della loro essenza, i termini contrari non sono l'uno fuori dell'altro, ma ogni termine conserva e contiene in sé il suo opposto.