domenica 20 DICEMBRE 2020, ore 17.00 | TEATRO STUDIO
MASSIMO MUNARO

LA TETRALOGIA DEL LEMMING
il mito e lo spettatore
ed. Il Ponte del Sale

> ingresso gratuito

 

Il libro di Massimo Munaro raccoglie i testi e le testimonianze di quattro storici lavori del gruppo rodigino: EDIPO, DIONISO E PENTEO, AMORE E PSICHE, ODISSEO, più le successive due Postfazioni di A COLONO e de L‘ODISSEA DEI BAMBINI. E‘ il racconto di un‘avventura teatrale e umana fra le più singolari degli ultimi decenni. Al centro di questi lavori c‘è la potenza sempre attuale del mito, e c‘è lo spettatore che, nel suo diretto coinvolgimento drammaturgico e sensoriale, assume qui per una volta l‘inedito ruolo di protagonista.

Dopo aver pubblicato nel 2010 per i tipi Titivillus il primo capitolo su Edipo, avrei voluto pubblicare subito l‘intero testo che è rimasto invece, per tutti questi anni, a dormire in qualche fi le del computer allo stato di bozza. Mai fino ad oggi avevo trovato il momento giusto per rimetterci le mani. Un po’ la quotidianità che chiama con i suoi troppi impegni, un po’ la paura di mettere un punto ad un’esperienza che sento ancora assolutamente in fieri.
Seppure nati a cavallo fra la fi ne degli anni novanta e i primi del nuovo millennio, i lavori della Tetralogia fanno ancora stabilmente parte del repertorio della Compagnia. Non è mai passato un anno, infatti, che insieme a nuovi lavori, almeno qualcuno di questi spettacoli, se non tutti - in modo del tutto anomalo rispetto alla prassi del teatro italiano - non sia stato rimesso in scena e presentato al pubblico. Essi continuano a rappresentare un banco di prova fondamentale per il completamento della formazione dei giovani attori del gruppo. Ma soprattutto, seppure sono passati quasi venticinque anni dalla loro creazione, questi lavori non sembrano aver perso nulla della loro efficacia e della loro potenza. Essi si pongono innanzitutto come interrogazione al teatro. Interrogano la sua natura, la sua attualità, la sua funzione. E lo fanno rimettendo in questione e ridefinendo in modo radicale i suoi elementi strutturali: l’attore, lo spettatore, lo spazio scenico, la drammaturgia - conservando una radicalità irriducibile, un punto di vista che abolisce ogni abitudine e che rifiuta ogni mediazione. La Tetralogia rappresenta, nella storia della mia vita di regista e per il Teatro del Lemming, un punto insieme di arrivo e di partenza, il manifesto del nostro credo teatrale, del tutto antitetico, peraltro, ad un mondo che invece continua a muoversi in direzione opposta. Questo teatro “è così importante, così necessario, così rivoluzionario” ha scritto una mia attrice qualche tempo fa, “che non sai se è parte di una era passata che abbiamo perso e che rimpiangeremo o se è l‘avanguardia, l‘antagonista dell‘era in cui stiamo entrando“.
Naturalmente non posso sapere in quest’epoca di “distanziazione sociale” quale futuro ci aspetti o se questi spettacoli avranno davvero ancora un futuro. Personalmente però credo che continueremo sempre di più ad avere bisogno di un teatro che sia “diverso”, che non riecheggi, insegua o replichi l’orrore del mondo. E se anche la convivenza con quest’epidemia - che rende rischiosa la prossimità fisica con l’altro - dovesse continuare a lungo, inviterei a pensare al teatro come a un pharmakon. La pretesa irrinunciabile del teatro di essere incontro ravvicinato e relazione, oltre che come veleno può essere pensata
come cura: il farmaco di cui abbiamo bisogno per restare umani.

Massimo Munaro

Lemming

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