(1992)

 Una Sola Moltitudine - Studio d'Ambiente

con Cristiano Cattin (Martino Ferrari), Federica Bernardinello, Antonia Bertagnon, Beatrice Maggiolo, Francesco Piva, Franco Cecchetto, Marco Farinella, Marzia Callegarin, Marco Rigobello, Marcello Ferrari, Monia Astolfi, NadiaPoletti, Nicola Quadrelli, Nike Sangiorgio, Paola Buoso, Roberto Ragazzoni, Silvia Toscano, Vilma Sigolo

musica e regìa Massimo Munaro

prima rappresentazione: Rovigo, Villa ex Vescovado, 29 maggio 1992

 

dal foglio di sala di UNA SOLA MOLTITUDINE - 1992

Una piazza di una grande città. Idiomi di lingue sconosciute, migliaia e migliaia di volti di cui non si potrà trattenere l'immagine, colori. Ad un osservatore che contemplasse la scena dall'esterno tutti questi esseri in vita non potrebbero apparire che come una massa confusa. Aliena. Indecifrabile. Così come a noi, umani, appare dall'esterno un formicaio. O un alveare.

Ci si rende conto così che un individuo non può affermare la propria soggettività se non negando quella degli altri. Come parte del tutto egli è contemporaneamente diviso dal tutto. Ciò si sperimenta quotidianamente in una relazione d'amore. Lo slancio all'identificazione ci porta ad avvertire l'altro come parte di noi: io sono te - tu sei me. Ma tutto ciò è destinato a rimanere precario. Ognuna delle due parti affermandosi come individualità nega l'identificazione con l'altra.

Queste due pulsioni opposte sussistono anche all'interno dell'atomo costituente la base di una comunità: l'individuo. Pensare ad un soggetto come perfettamente unitario è illusorio. Tensioni opposte lo lacerano, lo dividono, lo tengono in vita. E d'altronde Io chi sono se non la posta continuamente rimessa in gioco della lotta fra un miliardo di cellule nervose che abitano il mio cranio e il mio corpo che le fa da robot? Io fratto Io. Si può dunque intendere, a tutti i livelli, l'esistenza come una ininterrotta serie di incontri e di separazioni. Riconciliazioni e addii ripetuti all'infinito. La nostalgia di una unità perduta è negata dal desiderio di affermare l'esistenza della propria individualità. Tutto ciò accade con violenza. In un delirio pulsionale. All'interno di questo vulcano possiamo solo intuire quello che ci sta accadendo. Non siamo osservatori esterni, noi viviamo. Così cerchiamo di capire ma ogni nostro sforzo risulta vano.

Cosa giustifica l'abiura di Galileo, la perdita di un amore, lo smarrimento di un'identità? Mille ragioni, ma nessuna che ci permetta di comprendere fino in fondo atti così straordinari. All'interno del linguaggio noi siamo parlati dal linguaggio. Tutto ci appare geroglifico, insensato.

Possiamo solo testimoniare, non spiegare.

Il lavoro è stato ripreso nel 2007 per i ventanni dalla fondazione del Lemming

Questo lavoro nasce come studio d'ambiente nel 1992. Il lavoro viene riproposto oggi, a quindici anni dalla sua creazione, per il ventennale della nascita del gruppo (1987). Per noi all'epoca creare uno "Studio d'ambiente" significava aprirsi a tutte le potenzialità di uno spazio. «Teatro» era qualunque luogo ospitasse il suo evento: e l'evento doveva ricrearsi, appunto, a partire dallo spazio che lo ospitava. Già in questo lavoro si affermava per noi la necessità di rivolgerci direttamente, quasi senza alcuna mediazione, agli spettatori. Drammaturgicamente il lavoro coniuga la ricerca avviata da noi in quegli anni su VITA DI GALILEO di Bertold Brecht e su IL LINGUAGGIO DEGLI API di Karl Von Frisch. In realtà esso finisce per nutrirsi anche della visione poetica di Fernando Pessoa, che già da allora avevamo eletto ad uno dei nostri poeti di riferimento. Alla dimensione logica/narrativa questo lavoro preferisce la suggestione del frammento e dell'accecamento poetico. Quasi ad affermare che c'è, nell'esperienza dell'arte teatrale, una rivendicazione di verità, diversa certo da quella della scienza, ma altrettanto certamente non subordinabile ad essa.Questa linea di pensiero attraversa da sempre la nostra ricerca teatrale.

Lemming

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