The group
I rebel - therefore we exist
Albert Camus, The rebel
Experimental theatre entails a link that connects the actors to the project of the group.
Indeed, each actor is involved and becomes responsible of the theatrical work, that he contributes to achieve on the stage.
Experimental theatre is all that theatre pursuing:
- the autonomy of scenic language from a written play;
- the redefinition of the scenic space;
- the reformulation of the role and the gaze of the spectator;
- an original pedagogy of the actor;
- a link that connects the actors to the project of the company;
- a process and working times that permits to practice a real research.
the spectator
The spectator does not hold himself aloof at a distance of aesthetic consciousness enjoying the art of representation, but in the communion of being present
Hans-Georg Gadamer, Truth and Method
We believe that experimental theatre must lead to the reformulation of the spectator's role and gaze. Instead of a one-dimensional vision, created for the featureless mass of the audience, experimental theatre fosters the perception of each participating spectator, taking account of the diversity and multiplicity of their points of view.
Experimental theatre is all that theatre pursuing:
- the autonomy of scenic language from a written play;
- the redefinition of the scenic space;
- the reformulation of the role and the gaze of the spectator;
- an original pedagogy of the actor;
- a link that connects the actors to the project of the company;
- a process and working times that permits to practice a real research.
Scenic space
It is in order to attack the spectator's sensibility on all sides that we advocate a revolving spectacle which, instead of making the stage and auditorium two closed worlds, spreads its visual and sonorous outbursts over the entire mass of the spectators.
Antonin Artaud, Theatre of cruelty
We believe that experimental theatre must achieve a real research on scenic space. Scenic space couldn't be considered merely a place restricted to the actors and detached from the audience, but a metamorphic and mightily immersive place.
We produce and house working processes that rethink and devise anew the enchanting space of theatre.
Experimental theatre is all that theatre pursuing:
- the autonomy of scenic language from a written play;
- the redefinition of the scenic space;
- the reformulation of the role and the gaze of the spectator;
- an original pedagogy of the actor;
- a link that connects the actors to the project of the company;
- a process and working times that permits to practice a real research.
About AEN
Who We Are
The best thinkers, the most effective strategists, the most inspiring pioneers – AEN is creating a European platform for senior cultural professionals to talk about all the things that motivate cultural audiences to attend – and enjoy creative experiences. Our events and resources offer an insight into the way things are done locally, set against the backdrop of our shared European cultural agenda.
It’s energising to visit a foreign town North or South - and realising that we all talk the same language, that we’re working to the same end.
AEN is a European movement, a group of professional enthusiasts, people who want to learn and share, who value the power of ideas. We’re here to understand more about audiences and how to grow them.
Core Partners include:
What We Do
- Conferences and Seminars
- Masterclasses and Training
- Expert Witnesses and Guest Speakers Professional Networking
- Online community (+ Linked In, Twitter and Facebook) Resources and Intelligence
In Touch Network = a new network connecting companies and organizations producing and programming Human Specific Performing Art.
Human Specific Performing Art = a new approach within the field of contemporary theatre - defined as artwork that: 1 offers personalized and intimate experiences to members of the audience. 2 is designed to receive small audience groups or individuals in order to relate individually to each person. 3 is dependent on audience participation. 4 facilitate genuine encounters in immersive environments. 5 explores and employs different forms of sensorial communication. 6 allows audience members to navigate through an aesthetic and sensuous universe.
L'Edipo dei mille
progetto pedagogico spettacolare
Una delle grandi questioni in cui si dibatte da sempre un uomo di teatro potrebbe essere riassunta con una domanda: com’è possibile tramandare un’esperienza?
A differenza di coloro che operano in altri campi dell’arte e di cui sopravvivono le opere, il teatro appare come un’arte che si scrive sull’acqua, consegnata com’è, inevitabilmente, all’impermanenza del presente. Di Sofocle, Shakespeare, Moliere, che furono anche grandi poeti, ci rimangono in fondo soltanto delle parole, perché in realtà nulla ci rimane del loro teatro. Anche se in tempi di restaurazione come questi sembrerà un’affermazione eretica, la drammaturgia non consiste in un testo scritto, ma si realizza piuttosto in quel sottile alchemico equilibrio fra le diverse componenti dell’arte scenica e di cui le parole – queste maledette e morte parole – non sono che un elemento, spesso nemmeno quello predominante.
Un uomo di teatro è inevitabilmente consegnato al qui e ora dell’evento: la forma in cui consiste l’opera non può vivere se non nell’accadere irripetibile della scena. Possiamo vedere lo stesso film di Ingmar Bergman anche mille volte ed entrare così in contatto diretto e vivo – lui che è morto – con la sua opera. Ma della sua opera teatrale non rimane che una memoria leggendaria. Nata dal mito, ecco che l’opera teatrale sembra così riconsegnarsi, a sua volta, al mito.
Anche Artaud, Appia, Stanislavskij, Grotowski, Kantor ci hanno lasciato delle parole, ma il profumo delle loro realizzazioni teatrali si è perduto per sempre, o al massimo si è consegnato al ricordo, all’immaginazione e alle speculazioni dei loro successori. Com’è stata tramandata, o più spesso tradita, la loro straordinaria esperienza? Quali gesti, quali segni ci hanno lasciato in eredità? Dove rintracciare oggi, in un mondo teatrale sempre più museificato e mercificato, il senso di una continuità vitale, di un passaggio del testimone? Già perché eccolo qui il teatro: spaccato fra compagnie di prosa in gara nella riproposizione dell’uguale e del medesimo, popolato da comici televisivi (finalmente possiamo incontrare dal vivo! per una sera il divetto, il tronista, la velina), fra i mille narratori (teatro di narrazione – mai ossimero fu più assurdo!), e ai bordi – viva l’off per sempre off! – i giovani all’ultima anzi meglio ultimissima moda (cosa importa di cosa ne sarà di loro dopo, tanto fra un anno ci saranno i nuovi, anzi i nuovi nuovissimi del momento!).
Come si può parlare di eredità in una simile centrifuga, in questo campo culturale e sociale sempre più desertificato?
Molti anni fa un importante festival canadese, e poi anche un teatro svizzero, mi proposero, sull’onda del successo italiano, di realizzare EDIPO con un gruppo di attori del luogo, svincolando perciò la produzione dell’opera dal diretto coinvolgimento del Lemming. Io rifiutai. Mi sembrava sbagliato realizzare un’opera così delicata con un gruppo di attori che non sposassero a monte il pensiero teatrale che il lavoro implicava. Giudicavo impossibile preparare un gruppo di attori nel breve tempo che, inevitabilmente, i due grandi produttori, potevano offrirmi. Nulla di più terrificante, come spesso capita, di vedere attori del tutto impreparati ad affrontare la scena, non realmente consapevoli e presenti a quello che fanno. Questo è un orrore, qualunque cosa si sia detta o scritta sul mio lavoro, che so di avere sempre cercato di evitare.
Oggi sento, però, la necessità di accettare una scommessa impossibile: preparare in tre settimane di lavoro, trenta giovani attori e realizzare con loro, guidati da attori del Lemming, l’EDIPO contemporaneamente e per molti giorni in cinque diversi luoghi di una stessa città. La prima tappa di questo progetto si svolgerà a Venezia fra febbraio e maggio 2011. Il progetto si chiama, non a caso, L’EDIPO DEI MILLE e risponde ad una doppia esigenza. Da una parte sento il bisogno di verificare se sia davvero possibile, in qualche modo, trasmettere a degli allievi, futuri attori forse, l’esperienza di EDIPO. Dopo che lo spettacolo in tutti questi anni è sempre rimasto nel repertorio della compagnia come straordinaria palestra di formazione per la crescita professionale e umana degli attori del gruppo, oggi sento venuto il momento di lasciare che quest’opera viva anche di una vita autonoma. Mi affascina soprattutto la possibilità di realizzare una pedagogia in grado di trascinare nel rischio della prassi un nutrito gruppo di allievi. Come si può, del resto, divenire attori se non mettendosi alla prova? Tanto più che qui non si affronta l’improbabile saggetto di fine corso, ma una drammaturgia compiuta ed esemplare. E’ un’impresa troppo arrischiata? Può darsi. Resta però che il primo insegnamento per un attore è quello di imparare ad esporsi al rischio.
Esiste poi un’altra ragione che sta alla base del progetto e che mi appare oggi ancora più cogente: quella politica. Si sa che la storia della spedizione dei Mille, a cui il titolo del progetto allude, si confonde col mito e la leggenda. Appare in effetti incredibile che un gruppo sparuto di ragazzi giovanissimi, volontari e male armati, abbia potuto sbaragliare un agguerrito esercito borbonico e contribuire in modo decisivo alla nascita del nostro Paese. Quello che ancora di potentemente simbolico riverbera in noi di questa storia esemplare, è l’insegnamento che a volte anche l’azione di pochi uomini è in grado di produrre grandi trasformazioni. Per noi si tratta, una volta di più, di dimostrare che è possibile trasformare ciò che è apparentemente utopico in un atto concreto. Che si può, anche a dispetto di un sistema teatrale più che mai immobile e reazionario, affermare una differenza che non è soltanto ideale ma concreta e praticata. Nulla, in effetti, è più apparentemente utopico e paradossale, anche da un punto di vista produttivo, di un lavoro come EDIPO. Un solo spettatore laddove nella società dei consumi la comunicazione spettacolare si rivolge esclusivamente ad una massa indifferenziata. La richiesta di una partecipazione attiva e personale, là dove tutto è sempre comunque mediato, e ci mantiene rigorosamente passivi e distanti. E soprattutto l’esplosione sensoriale ed emotiva, quella profonda intimità fra estranei, quello strano senso di fratellanza, che questo lavoro induce in ciascun partecipante, a dispetto del solitario vouyerismo impotente a cui si è quotidianamente consegnati. In questa Italia divisa e devastata, ridotta a macerie, narcotizzata e ferita dal chiacchiericcio e dallo strepito televisivo, anche questo piccolo spettacolo per un solo spettatore, e che per altro finirà per propagarsi nell’intero spazio urbano di una città, può contribuire in modo attivo a qualche piccola ma reale trasformazione.
Certo, come direbbero i Greci, la nostra libertà soccomberà sempre alla supremazia dell’Ananke. Ma d’altronde, misurare sul proprio corpo il dissidio profondo fra libertà e destino, quel dissidio e quel senso di rivolta che in altro modo accomuna Edipo al giovane garibaldino della spedizione dei Mille, è ciò che rende eroica la condizione umana di ciascuno di noi.
Massimo Munaro, Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore, Corazzano (PI), Titivillus, 2011
L'EDIPO dei MILLE è approdato nel 2011 a VENEZIA , nel 2012 a BASSANO DEL GRAPPA e nel 2015 a VICENZA.
Visita il blog che raccoglie le lettere degli spettatori e la rassegna stampa.
Nel segno di Dioniso
progetto pedagogico spettacolare
In continuità con L'EDIPO DEI MILLE, NEL SEGNO DI DIONISO è insieme una straordinaria occasione pedagogica e uno straordinario evento artistico, che porta dei giovani allievi a realizzare lo spettacolo del Teatro del Lemming DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro per 10 giorni consecutivi.
DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro è uno degli spettacoli-manifesto del Teatro del Lemming, seconda tappa della Tetralogia sul Mito e lo Spettatore, in cui gli spettatori vengono coinvolti drammaturgicamente e sensorialmente all'interno dell'evento scenico. Si tratta di un lavoro per sette spettatori per volta che ri-vivono sul loro corpo le tappe della relazione tragica, riportata nelle BACCANTI da Euripide, che lega Dioniso, per i Greci il dio del teatro, a Penteo, prototipo dello spettatore moderno.
Il teatro, sotto il segno di Dioniso, si configurava essenzialmente come una relazione fondata sulla reciprocità (“io ti vedo mentre tu mi vedi”), come rito collettivo il cui telos era quello di giungere ad una comunione-dispersione delle soggettività, a favore di una osmosi col divino, col tutto.
Questa relazione si dà invece come impossibilità ne “Le Baccanti” di Euripide. La relazione, infatti, è qui oppositiva, lo sguardo si fa distaccato, voyeuristico e ciò rende impossibile ogni reciprocità, ogni tensione ad una reale unione. Le tensioni si polarizzano senza dar luogo a nessuna congiunzione. Agave e Penteo sono madre e figlio. Accomunati dalla stessa hybris che infondo consiste nel non riconoscimento del proprio lato numinoso (Dioniso era un loro stretto consanguineo).
Fra l’isteria della menade Agave che giunge a non riconoscere il figlio e a sbranarlo, e il presunto bisogno di ordine razionale di Penteo che giunge a desiderare di vedere senza essere visto (prototipo dello spettatore moderno) quelle che per lui sono solo agognate sconcezze erotiche, c’è una uguaglianza di segni: entrambi sono strumenti inconsapevoli della vendetta del dio. DIONISO e PENTEO non può essere così uno spettacolo compiutamente e felicemente dionisiaco, perché qui esso potrà manifestarsi soltanto come vendetta. Vendetta contro attori e spettatori, polarizzati in uno statuto che, per quanto potrà apparire abolito, verrà riaffermato proprio mentre sembrerà capovolgersi.
La distorsione relazionale - che qui porta al suo dissolvimento completo - nasce dal rifiuto di riconoscere l’altro in noi, dal rifiuto e dalla negazione dei nostri istinti e desideri profondi che tornano a sbranarci non appena rifiutiamo di riconoscerli come tali.
NEL SEGNO DI DIONISO ha invaso Venezia e Mestre durante aprile e maggio 2014.
Trasparenza
In adempimento alle disposizioni di legge.
Il Teatro del Lemming è un'associazione culturale legalmente riconosciuta. Il Consiglio Direttivo dell'Associazione, nominato dall'assemblea dei soci con verbale n. 1/2022, è composto ad oggi dai seguenti membri:
- Massimo Munaro, nato a Rovigo il 07/07/1962 (cv)
- Diana Ferrantini, nata a Venezia Mestre il 04/01/1985 (cv)
- Katia Raguso, nata a Grottaglie (TA) il 14/02/1980 (cv)
- Alessio Papa, nato a Nardò (LE) il 16/05/1980 (cv)
I componenti del Consiglio di Amministrazione non percepiscono alcun compenso per questo incarico.
Anno 2023 - contributi pubblici - incarichi, consulenze e collaborazioni
Staff
Direzione artistica
Massimo Munaro - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Organizzazione e ufficio stampa
Diana Ferrantini - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Comunicazione e grafica
Marina Carluccio - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Amministrazione
Katia Raguso - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Progetti culturali e Assistenza tecnica
Alessio Papa - This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Personale artistico
Marina Carluccio, Diana Ferrantini, Alessio Papa, Thierry Parmentier, Katia Raguso, Chiara Elisa Rossini, Fiorella Tommasini, Boris Ventura, Silvia Massicci, Elena Fioretti.
per informazioni scrivi a This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
pec: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.