Pedagogia

NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA VITA

Laboratorio teatrale I CINQUE SENSI DELL'ATTORE

Partendo dall’immaginario dantesco narrato nel Primo Canto dell’Inferno (Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura), si lavorerà sul tema del viaggio come passaggio dall’infanzia all’età adulta: il viaggio dantesco diventerà metafora del percorso di maturazione dell’identità che contraddistingue l’adolescenza con tutte le trasformazioni, le criticità e il senso di smarrimento che essa implica.

Attraverso l’originale metodo di lavoro del Teatro del Lemming, I Cinque Sensi Dell Attore, il laboratorio permetterà agli studenti di attraversare il poema dantesco in prima persona: che cos’è l’Inferno per me? Chi è la mia Beatrice? Chi è il mio Virgilio? Dove colloco un Paradiso possibile per cui abbia senso attraversare i primi due regni dell’oltretomba?

Il metodo utilizzato ruota attorno ai principi dell’ascolto, dell’adeguamento e del dialogo. Nel trentennale lavoro della Compagnia, infatti, l’attore (e, in questo caso, ogni singolo allievo di ciascuna classe coinvolta) deve essere inteso prima di tutto come una guida: il suo compito, di conseguenza, è quello di essere in ascolto dei compagni, sapersi adeguare a loro e riuscire così a stabilire una relazione incentrata sul dialogo. Questi tre principi fondamentali andranno poi sviluppati in quattro direzioni diverse: su di sé, sugli altri, sullo spazio, sui compagni. Lo strumento principale d’indagine attorno a questi tre principi sarà il corpo, che verrà esplorato in tutti i suoi sensi: vista, udito, tatto, olfatto e gusto.

Questo particolare metodo di lavoro risulta essere particolarmente efficace con i ragazzi, poiché, permettendo di lavorare come gruppo e di concentrarsi sulla relazione, favorisce l’immedesimazione nell’emotività degli altri, aiutando il singolo a percepire la complessità del suo mondo interiore come una dimensione umana collettiva e non unicamente individuale.

Incontrare il Teatro è un’esperienza formativa a tutte le età, ma è ancor più necessaria e fondante in età adolescenziale. Il Teatro ci permette infatti di incontrare noi stessi in un processo di conoscenza, accettazione e affermazione del Sé, offrendoci una maggiore consapevolezza dei nostri limiti e delle nostre potenzialità ancora inesplorate. Prevedendo sempre la presenza fondamentale di un TU (in questo caso i compagni), esso ci permette di realizzare tutto ciò non a prescindere dagli altri, ma CON gli altri. Il Teatro, indagato attraverso la poetica del Teatro del Lemming e la metodologia dei Cinque Sensi, ci offre una grandissima occasione, sempre più rara al giorno d’oggi: quella di metterci in gioco in una situazione protetta, permettendoci così di relazionarci in modo vero ed autentico con gli altri. L’iniziativa intende dunque:

- Permettere agli studenti di avere maggiore consapevolezza delle proprie emozioni, imparando a ascoltare se stessi e gli altri.

- Favorire una messa in gioco reale, stimolando i ragazzi ad esporsi all’interno di un ambiente protetto e a non assumere atteggiamenti stereotipati e omologanti.

- Imparare a riconoscere l’adolescenza come un rito di passaggio collettivo e non come un’affermazione del proprio ego a discapito della personalità degli altri.

- Rendere i ragazzi soggetti di un’esperienza, favorendo l’immedesimazione con le materie di studio (in questo caso la prima cantica dantesca).

Il progetto si rivolge a tre classi della scuola secondaria di primo grado e a tutte le classi della scuola secondaria di secondo grado. 

 

LABORATORIO "I CINQUE SENSI DELL'ATTORE"

TEATRO SANTA MARTA - VENEZIA

23 maggio dalle 15.00 alle 20.00
24 maggio dalle 14.00 alle 19.00
25 maggio dalle 15.00 alle 20.00

Il laboratorio mira a esplorare il ruolo dell’attore come guida ovvero colui che conduce lo spettatore in quell’altrove che costituisce da sempre lo spazio del teatro. Per costituirsi come guida l’attore deve innanzi tutto affinare le sue capacità di ascolto-adeguamento-dialogo, tre principi che durante i tre incontri verranno sviluppati in quattro diverse direzioni: su di sé, sui compagni, sullo spazio che li ospita, sullo spettatore. Lo strumento principale della ricerca dell’attore è il corpo e i suoi cinque sensi, che indagati separatamente e poi in continua sinestesia fra loro, costituiscono una via d’accesso all’altrove del teatro e alle capacità creative. Nella sua relazione ravvicinata e intima con se stesso, con i compagni, con lo spazio e con lo spettatore i partecipanti saranno qui indotti a una messa a nudo radicale e a una ricerca personale e tecnica che passa per una disponibilità assoluta all’ascolto e all’attenzione di sé e dell’altro.

Ai partecipanti, durante il lavoro, è richiesto di:
indossare degli abiti bianchi comodi;
portare un quaderno ed una penna;
portare una coperta (da utilizzare anche durante il lavoro);

Il laboratorio è rivolto agli studenti iscritti all'università Ca' Foscari ed è aperto ad un massimo di 14 iscritti.E' necessario inviare:
- curriculum vitae
- lettera motivazionale
- se lo si desidera, un video di max 3 minuti in cui si comprenda il grado di preparazione attoriale del candidato.

per info ed iscrizioni contattare il Teatro Ca' Foscari a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L'Edipo dei mille
progetto pedagogico spettacolare

 

Una delle grandi questioni in cui si dibatte da sempre un uomo di teatro potrebbe essere riassunta con una domanda: com’è possibile tramandare un’esperienza?
A differenza di coloro che operano in altri campi dell’arte e di cui sopravvivono le opere, il teatro appare come un’arte che si scrive sull’acqua, consegnata com’è, inevitabilmente, all’impermanenza del presente. Di Sofocle, Shakespeare, Moliere, che furono anche grandi poeti, ci rimangono in fondo soltanto delle parole, perché in realtà nulla ci rimane del loro teatro. Anche se in tempi di restaurazione come questi sembrerà un’affermazione eretica, la drammaturgia non consiste in un testo scritto, ma si realizza piuttosto in quel sottile alchemico equilibrio fra le diverse componenti dell’arte scenica e di cui le parole – queste maledette e morte parole – non sono che un elemento, spesso nemmeno quello predominante.
Un uomo di teatro è inevitabilmente consegnato al qui e ora dell’evento: la forma in cui consiste l’opera non può vivere se non nell’accadere irripetibile della scena. Possiamo vedere lo stesso film di Ingmar Bergman anche mille volte ed entrare così in contatto diretto e vivo – lui che è morto – con la sua opera. Ma della sua opera teatrale non rimane che una memoria leggendaria. Nata dal mito, ecco che l’opera teatrale sembra così riconsegnarsi, a sua volta, al mito.
Anche Artaud, Appia, Stanislavskij, Grotowski, Kantor ci hanno lasciato delle parole, ma il profumo delle loro realizzazioni teatrali si è perduto per sempre, o al massimo si è consegnato al ricordo, all’immaginazione e alle speculazioni dei loro successori. Com’è stata tramandata, o più spesso tradita, la loro straordinaria esperienza? Quali gesti, quali segni ci hanno lasciato in eredità? Dove rintracciare oggi, in un mondo teatrale sempre più museificato e mercificato, il senso di una continuità vitale, di un passaggio del testimone? Già perché eccolo qui il teatro: spaccato fra compagnie di prosa in gara nella riproposizione dell’uguale e del medesimo, popolato da comici televisivi (finalmente possiamo incontrare dal vivo! per una sera il divetto, il tronista, la velina), fra i mille narratori (teatro di narrazione – mai ossimero fu più assurdo!), e ai bordi – viva l’off per sempre off! – i giovani all’ultima anzi meglio ultimissima moda (cosa importa di cosa ne sarà di loro dopo, tanto fra un anno ci saranno i nuovi, anzi i nuovi nuovissimi del momento!).
Come si può parlare di eredità in una simile centrifuga, in questo campo culturale e sociale sempre più desertificato?
Molti anni fa un importante festival canadese, e poi anche un teatro svizzero, mi proposero, sull’onda del successo italiano, di realizzare EDIPO con un gruppo di attori del luogo, svincolando perciò la produzione dell’opera dal diretto coinvolgimento del Lemming. Io rifiutai. Mi sembrava sbagliato realizzare un’opera così delicata con un gruppo di attori che non sposassero a monte il pensiero teatrale che il lavoro implicava. Giudicavo impossibile preparare un gruppo di attori nel breve tempo che, inevitabilmente, i due grandi produttori, potevano offrirmi. Nulla di più terrificante, come spesso capita, di vedere attori del tutto impreparati ad affrontare la scena, non realmente consapevoli e presenti a quello che fanno. Questo è un orrore, qualunque cosa si sia detta o scritta sul mio lavoro, che so di avere sempre cercato di evitare.
Oggi sento, però, la necessità di accettare una scommessa impossibile: preparare in tre settimane di lavoro, trenta giovani attori e realizzare con loro, guidati da attori del Lemming, l’EDIPO contemporaneamente e per molti giorni in cinque diversi luoghi di una stessa città. La prima tappa di questo progetto si svolgerà a Venezia fra febbraio e maggio 2011. Il progetto si chiama, non a caso, L’EDIPO DEI MILLE e risponde ad una doppia esigenza. Da una parte sento il bisogno di verificare se sia davvero possibile, in qualche modo, trasmettere a degli allievi, futuri attori forse, l’esperienza di EDIPO. Dopo che lo spettacolo in tutti questi anni è sempre rimasto nel repertorio della compagnia come straordinaria palestra di formazione per la crescita professionale e umana degli attori del gruppo, oggi sento venuto il momento di lasciare che quest’opera viva anche di una vita autonoma. Mi affascina soprattutto la possibilità di realizzare una pedagogia in grado di trascinare nel rischio della prassi un nutrito gruppo di allievi. Come si può, del resto, divenire attori se non mettendosi alla prova? Tanto più che qui non si affronta l’improbabile saggetto di fine corso, ma una drammaturgia compiuta ed esemplare. E’ un’impresa troppo arrischiata? Può darsi. Resta però che il primo insegnamento per un attore è quello di imparare ad esporsi al rischio.
Esiste poi un’altra ragione che sta alla base del progetto e che mi appare oggi ancora più cogente: quella politica. Si sa che la storia della spedizione dei Mille, a cui il titolo del progetto allude, si confonde col mito e la leggenda. Appare in effetti incredibile che un gruppo sparuto di ragazzi giovanissimi, volontari e male armati, abbia potuto sbaragliare un agguerrito esercito borbonico e contribuire in modo decisivo alla nascita del nostro Paese. Quello che ancora di potentemente simbolico riverbera in noi di questa storia esemplare, è l’insegnamento che a volte anche l’azione di pochi uomini è in grado di produrre grandi trasformazioni. Per noi si tratta, una volta di più, di dimostrare che è possibile trasformare ciò che è apparentemente utopico in un atto concreto. Che si può, anche a dispetto di un sistema teatrale più che mai immobile e reazionario, affermare una differenza che non è soltanto ideale ma concreta e praticata. Nulla, in effetti, è più apparentemente utopico e paradossale, anche da un punto di vista produttivo, di un lavoro come EDIPO. Un solo spettatore laddove nella società dei consumi la comunicazione spettacolare si rivolge esclusivamente ad una massa indifferenziata. La richiesta di una partecipazione attiva e personale, là dove tutto è sempre comunque mediato, e ci mantiene rigorosamente passivi e distanti. E soprattutto l’esplosione sensoriale ed emotiva, quella profonda intimità fra estranei, quello strano senso di fratellanza, che questo lavoro induce in ciascun partecipante, a dispetto del solitario vouyerismo impotente a cui si è quotidianamente consegnati. In questa Italia divisa e devastata, ridotta a macerie, narcotizzata e ferita dal chiacchiericcio e dallo strepito televisivo, anche questo piccolo spettacolo per un solo spettatore, e che per altro finirà per propagarsi nell’intero spazio urbano di una città, può contribuire in modo attivo a qualche piccola ma reale trasformazione.
Certo, come direbbero i Greci, la nostra libertà soccomberà sempre alla supremazia dell’Ananke. Ma d’altronde, misurare sul proprio corpo il dissidio profondo fra libertà e destino, quel dissidio e quel senso di rivolta che in altro modo accomuna Edipo al giovane garibaldino della spedizione dei Mille, è ciò che rende eroica la condizione umana di ciascuno di noi.

Massimo Munaro, Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore, Corazzano (PI), Titivillus, 2011

 

 

L'EDIPO dei MILLE  è approdato nel 2011 a VENEZIA , nel 2012 a BASSANO DEL GRAPPA e nel 2015 a VICENZA.

Visita il blog che raccoglie le lettere degli spettatori e la rassegna stampa.

 

Nel segno di Dioniso
progetto pedagogico spettacolare

 

In continuità con L'EDIPO DEI MILLE, NEL SEGNO DI DIONISO è insieme una straordinaria occasione pedagogica e uno straordinario evento artistico, che porta dei giovani allievi a realizzare lo spettacolo del Teatro del Lemming DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro per 10 giorni consecutivi. 
DIONISO E PENTEO – Tragedia del Teatro è uno degli spettacoli-manifesto del Teatro del Lemming, seconda tappa della Tetralogia sul Mito e lo Spettatore, in cui gli spettatori vengono coinvolti drammaturgicamente e sensorialmente all'interno dell'evento scenico. Si tratta di un lavoro per sette spettatori per volta che ri-vivono sul loro corpo le tappe della relazione tragica, riportata nelle BACCANTI da Euripide, che lega Dioniso, per i Greci il dio del teatro, a Penteo, prototipo dello spettatore moderno.
Il teatro, sotto il segno di Dioniso, si configurava essenzialmente come una relazione fondata sulla reciprocità (“io ti vedo mentre tu mi vedi”), come rito collettivo il cui telos era quello di giungere ad una comunione-dispersione delle soggettività, a favore di una osmosi col divino, col tutto. 
Questa relazione si dà invece come impossibilità ne “Le Baccanti” di Euripide. La relazione, infatti, è qui oppositiva, lo sguardo si fa distaccato, voyeuristico e ciò rende impossibile ogni reciprocità, ogni tensione ad una reale unione. Le tensioni si polarizzano senza dar luogo a nessuna congiunzione. Agave e Penteo sono madre e figlio. Accomunati dalla stessa hybris che infondo consiste nel non riconoscimento del proprio lato numinoso (Dioniso era un loro stretto consanguineo). 
Fra l’isteria della menade Agave che giunge a non riconoscere il figlio e a sbranarlo, e il presunto bisogno di ordine razionale di Penteo che giunge a desiderare di vedere senza essere visto (prototipo dello spettatore moderno) quelle che per lui sono solo agognate sconcezze erotiche, c’è una uguaglianza di segni: entrambi sono strumenti inconsapevoli della vendetta del dio. DIONISO e PENTEO non può essere così uno spettacolo compiutamente e felicemente dionisiaco, perché qui esso potrà manifestarsi soltanto come vendetta. Vendetta contro attori e spettatori, polarizzati in uno statuto che, per quanto potrà apparire abolito, verrà riaffermato proprio mentre sembrerà capovolgersi. 
La distorsione relazionale - che qui porta al suo dissolvimento completo - nasce dal rifiuto di riconoscere l’altro in noi, dal rifiuto e dalla negazione dei nostri istinti e desideri profondi che tornano a sbranarci non appena rifiutiamo di riconoscerli come tali.

 

NEL SEGNO DI DIONISO ha invaso Venezia e Mestre durante aprile e maggio 2014.

 

I cinque sensi dell'attore

Nella metodologia studiata e applicata dal Teatro del Lemming, il corpo nella pienezza dei suoi cinque sensi diviene la porta dell'anima e del sogno. Esso è quindi il principale strumento di lavoro dell'attore-artigiano. Su queste basi il Teatro del Lemming è andato sviluppando, negli anni, una propria pedagogia che prende il nome de I cinque sensi dell'attore.

Se l'anima, la psyche aristotelica, non può esistere senza un corpo vivente, i sensi sono la via di accesso ad un universo immaginale ed archetipico, indispensabile all'attore per giungere alla creazione e all'immedesimazione. Attraverso i sensi è possibile accedere ad una fonte di ispirazione primaria che James Hillman chiamava l'anima ancestrale del mondo.

  

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